Lidia Beccaria Rolfi: la testimonianza e la lotta della “maestrina Rossana”, a cento anni dalla nascita

Tra i ricordi più vividi della mia infanzia c’è una visita d’istruzione molto speciale, a cui partecipai con la mia classe delle Elementari. Avevamo visitato la Sinagoga a Mondovì Piazza e la nostra guida d’eccezione per quella giornata fu Marco Levi, disponibile a illustrarci le caratteristiche del monumento e, naturalmente, la storia della comunità ebraica monregalese. Le immagini di quella giornata, nonostante siano passati molti anni, restano nella mia memoria come qualcosa di speciale, da custodire particolarmente affinché non vada perduto, un momento che in qualche modo è stato un privilegio poter vivere. Sempre in quel periodo, che lega insieme gli ultimi anni dell’Asilo e i primi anni di Scuola, mi affiora la testimonianza di una compagna di classe, che ricordava, qualche anno prima, un incontro, pur molto piccola, con Lidia Beccaria Rolfi. Sono passati quasi trent’anni da allora, e la forza e l’importanza di quei momenti acquistano sempre più evidenza, mano a mano che quella generazione di combattenti e testimoni, per forza di natura, si esaurisce definitivamente. La testimonianza fu uno dei tratti più importanti per la monregalese Lidia Beccaria Rolfi: franca, anche controcorrente. Fu una donna che non lasciò mai che la retorica e il luogo comune si sedimentassero in una versione di comodo di quanto accaduto, lasciando affondare nell’oblio quanto poteva essere più facile dimenticare. Nata a Mondovì, da famiglia contadina, divenne maestra e iniziò a insegnare in una scuola della Valle Varaita nel 1943. Fu allora che affrontò l’esperienza della lotta partigiana, diventando staffetta nell’11ª Divisione Garibaldi. Il nome di battaglia era “Maestrina Rossana”. Nel marzo 1944 fu arrestata, incarcerata a Saluzzo, condotta a Torino e poi deportata a Ravensbruck. Affrontò l’esperienza del lager fino al 26 aprile 1945. Dopo il suo drammatico viaggio di ritorno in patria, raccontato nel volume “L’esile filo della memoria”, Lidia Beccaria Rolfi tornò alla cattedra e alla vita civile con un’energia e una forza combattiva irriducibili. Contro i luoghi comuni, ma anche contro la cappa di silenzio che per molti anni avvolse i testimoni di quelle esperienze, che non venivano ben accolti nelle scuole. Non veniva concesso loro spazio per le testimonianze. Fino alla sua morte, nel 1996, Lidia Beccaria Rolfi non cessò mai di mettere in discussione, e massaggiare il muscolo atrofizzato della coscienza collettiva. «Lei ha sempre rivendicato il ruolo delle donne nella Resistenza – ricorda Marita Rosa, scrittrice e ex docente margaritese –: bisogna ricordare infatti che all’epoca i combattenti partigiani si videro riconosciuta anche formalmente la loro esperienza dallo Stato italiano, con punteggi o documentazione. Alle staffette partigiane inizialmente non fu riconosciuto nulla. Inoltre, Lidia si battè sempre per sottolineare il ruolo dei prigionieri nei lager come una forma di Resistenza. La ricordo come una persona autentica, combattiva, aperta e disponibile al dialogo e all’incontro con l’altro. L’avevo accompagnata più volte a incontrare gli studenti nelle scuole: di quegli appuntamenti la cosa che mi colpiva di più era la sua capacità di trarre argomenti di discussione anche dalle domande più banali. Resta per me un esempio di vita di eterna combattente».