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venerdì 25 Aprile 2025     Accedi

Carrù, gli ex proprietari del castello sono tornati nelle antiche stanze oggi sede della Banca

Visita guidata come ospiti della Banca Alpi Marittime per Alberto e Lia, i nipoti del generale Curreno
In foto, i nipoti del generale Curreno, Alberto e Lia, con i famigliari, il presidente Bam Domenico Massimino, Beppe Leardi e la presidente dell’Ente Fiera Carrù Luciana Beccaria.

Emanuele Lubatti

Gli ultimi ricordi all’interno di quelle sale risalivano a quando erano poco più che bambini. Lia e Alberto Marenco, i figli della signora Claudia Curreno, l’ultima proprietaria del castello di Carrù, vi sono ritornati lo scorso sabato mattina, ospitati dal presidente della Banca Alpi Marittime, che qui ha il suo cuore pulsante e quartier generale, Domenico Massimino. Era da 50 anni, o giù di lì, che non varcavano quella soglia. Da quando, nel 1977, la signora Claudia Curreno-Marenco vendette il castello all’allora Cassa Rurale di Carrù di Rino Filippi, che guidò personalmente la ristrutturazione per creare la nuova sede della Banca. Allora, stando alle memorie fanciullesche di Alberto e Lia, la sala degll’alcova aveva un gigantesco letto a baldacchino ed era tutta tappezzata in seta, con un’unica decorazione: una specchiera di bosco negro. Ora invece risplende di ritratti e in fondo troneggia una raffinata libreria. Alla visita guidata, sospesa tra passato e presente, erano presenti il professor Alessandro Abrate nelle vesti di “Cicerone” e il signor Beppe Leardi di Lequio Tanaro, custode di storia di Langa, che ha fatto da tramite con la famiglia Marenco. «Ero molto legato al generale Giuseppe Curreno, che aveva tre cascine a Lequio e fu anche sindaco del paese», ci confida Leardi. «Ricordo ancora come se fosse ieri quando mi convocò in questi saloni, era il 1962. Mi compilò la lettera di esonero dal servizio militare e poi, affettuosamente, in piemontese mi disse “Comunque un po’ di vita militare ti avrebbe fatto bene”».

LE ATROCITÀ DELLA GUERRA
Il generale Curreno era il papà di “Gimmy”, partigiano arrestato e fucilato ad appena 17 anni, a cui è stata conferita la medaglia d’oro al valore militare. Non si può infatti parlare del castello di Carrù senza ripercorrere inevitabilmente i tempi atroci della guerra. Allora il maniero venne occupato dai fascisti, al comando del terribile tenente Attilio Rizzo. «Rina, nostra prozia, portò via poco prima alcuni documenti del fratello generale, che era alla testa di alcune formazioni partigiane in Val d’Ossola», ricorda Lia Marenco. «Nascose le carte in un cesto da bucato e così, con gran sangue freddo, sfuggì ai controlli». I fascisti, all’interno, specialmente gli ultimi giorni della ritirata fecero uno scempio. Imbrattarono qualsiasi cosa, spaccarono tavoli e arredamenti. «La popolazione di Carrù, in quel frangente, fu straordinaria. Prima di far rientrare mamma e zia Rina, si sistemarono con un cordone davanti alla porta. Per risparmiar loro ulteriore dolore, ripulirono le stanze, cercarono di riparare allo sfregio che lì venne compiuto». Nel raccontarcelo, Lia mostra una crepa ancora ben visibile su un tavolino in marmo finemente recuperato. Ora la famiglia Marenco vive a Torino. Alberto, prima della pensione, ha vissuto e lavorato a lungo in Svizzera. Carrù è comunque foriero di ricordi tragici e di nostalgia.

DALLA DAMA BLU AI CURRENO
Le origini di quel castello si perdono indietro, all’alba dei tempi. Nel 1400 il conte Ludovico Costa, uomo di fiducia dei Savoia, venne investito del feudo di Carrù, in aggiunta a quelli di Bene Vagienna e di Trinità che già possedeva. La famiglia Costa restò proprietaria del castello per quattro secoli. Era moglie di un Costa anche la bagnaschese Paola Cristina del Carretto, la “famosa” Dama Blu, morta in circostanze misteriose durante una battuta di caccia, il cui fantasma ogni primo venerdì del mese esce dal quadro e vaga alla ricerca di giustizia. O almeno questo vuole la leggenda, che rivivrà in paese il prossimo venerdì 4 luglio in occasione della “Notte Blu”. La famiglia Curreno subentrò come proprietaria nel 1872, acquisendo la struttura dalla vedova Costa della Trinità. Cento anni dopo, passò di mano alla Cassa Rurale (oggi Banca Alpi Marittime) grazie alla ferrea volontà dell’allora direttore Rino Filippi. Ora vi lavorano circa 70 dipendenti, in un habitat di perfetta simbiosi tra l’ala antica e la parte più moderna, ricavata da quello che fu un tempo il sottotetto.

 


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