
25 Aprile a Mondovì: l'orazione ufficiale del Dott. Pierluigi Vaccaneo (Direttore “Fondazione Cesare Pavese”):
Signore e Signori, cittadine e cittadini, amiche e amici.
Ottant’anni fa, in questo stesso giorno, il nostro Paese tornava libero. L’Italia si liberava dall’occupazione nazista e dal regime fascista, grazie al coraggio e al sacrificio di migliaia di donne e uomini che scelsero di opporsi alla dittatura, al silenzio, alla paura, all’ingiustizia. Il 25 aprile 1945 segna la fine di un’epoca buia e l’inizio di una stagione nuova: quella della democrazia, della Costituzione, della speranza.
Oggi non celebriamo solo una data. Celebriamo una conquista collettiva, un atto di rinascita civile, politica, morale. Celebriamo il fatto che, ottant’anni dopo, viviamo in un Paese in cui possiamo votare, esprimerci, pensare liberamente, partecipare. Ma celebriamo anche la responsabilità di difendere ogni giorno ciò che è stato conquistato con la lotta, con il sangue, con la visione di un’Italia più giusta, più eguale, più unita ed è emozionante fare questo discorso qui, a Mondovì, città Medaglia d’oro al Valore militare e nel nostro territorio cuneese terra delle 34 Medaglie d’oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza.
Piero Calamandrei nel 1955 ad un gruppo di giovani disse: “Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. Qui è nata la consapevolezza di quello che significa Libertà. E sempre Calamandrei ci ricorda che “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. È una frase che oggi risuona ancora più attuale. La libertà non è un dono. Non è garantita per sempre. Non è qualcosa di cui possiamo disinteressarci. È un bene fragile, da custodire, da coltivare, da praticare ogni giorno. Perché, se si incrina, a volte basta un soffio per farla svanire.
La libertà che abbiamo ereditato non è solo la libertà di votare o di riunirci. È la libertà di pensare, di dissentire, di scegliere il proprio destino. È la libertà delle donne, conquistata anche grazie alla partecipazione femminile alla Resistenza. È la libertà religiosa, la libertà di amare, la libertà di sognare un futuro diverso.
Ma la libertà vera, come ricordava Sandro Pertini, non può esistere senza giustizia sociale. Non possiamo essere davvero liberi se qualcuno è lasciato indietro. Non possiamo sentirci liberi se c’è chi vive nella precarietà, nella povertà, nella discriminazione.
L’80° anniversario della Liberazione non deve essere solo commemorazione. Deve essere soprattutto occasione di consapevolezza. In un mondo attraversato da crisi geopolitiche, guerre, rigurgiti autoritari, dobbiamo chiederci cosa significa oggi essere cittadini democratici. La democrazia non è un sistema automatico. È fatta di partecipazione, di confronto, di rispetto. È fatta di memoria, perché non c’è futuro senza radici.
Oggi il rischio più grande non è solo l’ignoranza della Storia, ma il nichilismo storico – come ci ha ricordato Leonardo Sinigaglia – quella forma di indifferenza e disimpegno che svuota le parole del loro significato, che cancella il senso delle battaglie del passato, che rende intercambiabili vittime e carnefici, che riduce la Resistenza a “una delle tante guerre”.
Questa forma di oblio, spesso alimentata dalla disinformazione, dalla banalizzazione, da una certa narrazione opportunista, è uno dei pericoli più insidiosi. Perché mina le basi culturali e civili della nostra convivenza.
La Resistenza è stata un mosaico complesso. Comunisti, cattolici, liberali, azionisti, socialisti, monarchici: non erano tutti uguali, ma seppero trovare un terreno comune. Quel terreno era la libertà. Era la dignità dell’uomo. Era il rifiuto della violenza, della censura, della propaganda.
Questo ci insegna qualcosa di profondo: che l’unità non è uniformità. Che possiamo pensarla diversamente, ma condividere i valori fondamentali della convivenza. Che il pluralismo non è una debolezza, ma una ricchezza democratica. E che, quando è in gioco la libertà, dobbiamo sapere essere uniti.
Oggi più che mai, in un mondo segnato da polarizzazioni, populismi e derive identitarie, abbiamo bisogno di tornare a questa idea di unità: non come fusione, ma come alleanza civile. Non come negazione delle differenze, ma come riconoscimento reciproco.
Uno degli insegnamenti più preziosi della Resistenza è la difesa della libertà di pensiero. In un Paese dove era vietato leggere, scrivere, parlare, cantare, insegnare idee diverse da quelle imposte dal regime, i partigiani non lottarono solo con le armi. Lottarono con la parola. Con i fogli clandestini, con le biblioteche nascoste, con le trasmissioni radio, con la memoria orale.
Il 20 maggio 1945 nell’articolo “Ritorno all’uomo” Cesare Pavese scrive, “Le parole sono tenere cose, intrattabili e vive, ma fatte per l'uomo e non l'uomo per loro. Sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l'uomo le creava per servirsene”. La parola è uno strumento e come ogni strumento può creare o distruggere in base a come viene maneggiato. La parola di Pavese, come la parola letteraria, crea realtà, mondi, universi che sono altre e nuove parole. Dobbiamo difendere questa Libertà generativa della parola perchè oggi, la libertà di parola e di pensiero continua a essere sotto attacco, anche se in forme nuove. Non ci sono più le censure ufficiali, ma ci sono le bolle informative, le semplificazioni social, l’omologazione culturale. Spesso è più comodo conformarsi che esporsi. Più facile tacere che argomentare. Più redditizio adattarsi che pensare criticamente.
Ecco perché è fondamentale, oggi come allora, educare alla libertà di pensiero. Insegnare ai giovani a farsi domande, a leggere la realtà, a distinguere tra opinioni e fatti. Perché una democrazia senza pensiero critico è una democrazia svuotata.
La Resistenza non è stata solo un evento storico. È un modo di essere nel mondo. È capacità di opporsi all’ingiustizia, di difendere la dignità, di scegliere la parte giusta anche quando costa. Questo spirito vive oggi nelle scelte di tanti giovani che si battono per il clima, per i diritti umani, per la legalità, per la giustizia.
A loro dobbiamo dire: il 25 aprile è anche vostro. Non è una pagina chiusa. È una pagina da scrivere ogni giorno. Con coraggio, con passione, con responsabilità.
In questo 25 aprile 2025, ottant’anni dopo la Liberazione, non possiamo limitarci a dire “mai più”. Dobbiamo dirci anche “ancora una volta”. Ancora una volta pronti a difendere la libertà, la democrazia, la giustizia, la parola. Ancora una volta capaci di riconoscerci non solo come individui, ma come popolo. Come comunità. Come eredi di una storia che ci chiede di essere degni della libertà che ci è stata donata.
Facciamo memoria, non per nostalgia, ma per costruzione. Perché come diceva Calamandrei, la Costituzione non è una carta astratta, ma un testamento vivo. E come tale, ci interpella. Ogni giorno.
“È bello svegliarsi e non farsi illusioni. Ci si sente liberi e responsabili. Una forza tremenda è in noi, la libertà. Si può toccare l'innocenza. Si è disposti a soffrire”.
Cesare Pavese, "La bella estate"
Viva la Resistenza.
Viva il 25 aprile.
Viva la libertà.