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Guido De Giorgio, un percorso filosofico verso la luce

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di ANDREA CARLO LANZA
Una presenza nella Garzegna carassonese, niente più che un’ombra suggerita da una conoscente, seguita da un’imbeccata fortuita sulla permanenza del professore a Deviglia. È così che si è materializzata la figura del professor Guido De Giorgio nei miei interessi e nella mia curiosità portandomi ad occuparmi della sua vita e del suo pensiero. Forse visse nel verde carassonese, sicuramente vive ancora nei numerosi testi che ha scritto e negli spunti intellettuali che ha lasciato dietro di sé, tra spiritualità e filosofia. Voglio ricordarlo qui con un breve profilo: nato a San Lupo nei pressi di Benevento il 3 ottobre 1890, si trasferì in Tunisia, quando era studente in filosofia, con la moglie Gilda. Ebbe il figlio Havis (caduto in Etiopia nel 1939 e dedicatario del rifugio anche noto come “Mondovì” in alta Valle Ellero) e altre due figlie, Ulmaire e Dj’mila. La terra tunisina favorì il suo incontro con l’Islam e con il sufismo, grazie al maestro Mohammed Keireddine. Si trasferì a Parigi dove incontrò il filosofo esoterista Renè Guenòn e successivamente tornò in Italia negli anni ’20. Collaborò con Julius Evola a “La torre” iniziando a teorizzare un Fascismo sacro che, tuttavia, con il regime aveva poco a che fare. Negli anni Trenta scrisse l’opera “La tradizione romana”, pubblicata postuma. Testo in cui denunciava il materialismo dell’Europa, a discapito della spiritualità. De Giorgio si muoveva sul crinale di una sintesi religiosa e filosofica che traeva forza dall’incontro tra Oriente ed Occidente. Uomo tormentato, ebbe un secondo matrimonio da cui nacquero altri tre figli. Dopo aver vissuto a Vicoforte, dal 1953 si ritirò progressivamente in se stesso, in balia del proprio idealismo, nel suo eremo a Deviglia, nella vecchia canonica. Tra gli avvenimenti più significativi dei primi anni Cinquanta va ricordato il viaggio a San Giovanni Rotondo, per incontrare Padre Pio, a cui dedicò il testo “Ciò che mormora il vento del Gargano”. Con lui rimase il figlio Renato. Morì il 27 dicembre 1957 e trovò la sua ultima dimora nel cimitero di Sant’Anna Collarea.
Da “La tradizione romana” a un viaggio nel Gargano
La bibliografia di De Giorgio è ricca: mi concentro su “La tradizione romana”, libro in cui tenta di andare alla ricerca delle radici dell’uomo, una “Tradizione primordiale” che sintetizza l’immagine del Sacro, del Tutto e dell’Uno con influenze anche dal Sufismo e Induismo. Nel testo l’autore evidenzia la disgregazione socio-politica dell’Europa a lui contemporanea con la sua perdita di valori morali che egli vorrebbe recuperati da tempi remoti e dall’Essenza Divina insita nella creatura Uomo. De Giorgio compie un viaggio fortemente simbolico sviluppando il significato arcaico e metafisico di ogni elemento citato. In questo viaggio che il testo percorre, non viene mai nominato il Cristo, incarnazione del disegno salvifico, ma ecco che verso la fine compare invece il simbolo grandioso della Croce come via e verità, porta dolorosa che attraverso l’annullamento del sé terreno conduce all’Unità Divina. Sembra incompleta la sua ricerca; egli naviga sapientemente fra i simboli del passato, ma pare non trovare una luce che lo traghetti fuori dal suo purgatorio dantesco. Appare più avanti negli anni: il viaggio verso il Gargano, iniziato il 27 dicembre, alla volta del piccolo convento dove vive Padre Pio, diventerà un libro sintetico, poetico, scarno, efficace. Giungendo da quell’altro testo assai più complesso, sembra diradarsi la bruma ed affacciarsi un’aurora in cui le parole si stagliano chiare a descrivere un miracolo d’Amore, reso tangibile da un povero frate per mezzo dell’Eucarestia e nell’offerta di Sè sulla Mensa per quelle voci e quelle mani che lo assediano; poi nel Perdono, non scontato, non per tutti, che Egli annuncia assieme a guarigioni fisiche e interiori. Pare fosse stato mons. Corrado Moretti ad indirizzare in tal senso la sua tensione interiore e la sua ricerca. Altro anziano sacerdote che gli fu amico parla di una sua profonda conversione che lo portò ad “una vita santa”. Altri lo ricordano servire la Messa al Santuario di Vico. A San Giovanni Rotondo, secondo quanto affermò il figlio Renato, Guido ritornò almeno una volta con lui, ma siccome fu proprio Padre Pio ad impartire la prima Comunione a Renato, è lecito pensare ad un legame duraturo. Dobbiamo notare come la sua dipartita improvvisa, in borgata Deviglia, il 27 dicembre 1957, richiami la data di quell’altra partenza anni prima, in cerca di una voce e una pace... laggiù nel Gargano.

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