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04 Novembre 2025 - 19:37
È uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche "Bugonia" di Yorgos Lanthimos. Una pellicola che è difficile da incasellare in un genere: c'è il thriller, ma anche la fantascienza, c'è la farsa ma anche il dramma. C'è il realismo e la fantasia più sfrenata.
"Bugonia", un titolo che in qualche modo va a richiamare antiche tracce nella nostra memoria, come se fosse un nome in qualche modo già sentito. Una breve ricerca consente di rintracciarlo nella mitologia greca: Bugonia è una delle Georgiche del poeta latino Virgilio, poemetti dedicati all'agricoltura e al rapporto tra l'uomo e il lavoro della terra. Nel componimento in questione, dalla carcassa di un animale morto si sviluppa uno sciame di api, episodio parte del mito di Orfeo ed Euridice.
Non è quindi un caso che la pellicola di Yorgos Lanthimos, approdata in questi giorni nelle sale italiane si apra (e, spoiler, si chiuda) con l'immagine di un'ape. E che lo spopolamento degli alveari sia il fenomeno che innesca tutta la macchina narrativa.
Avverto il lettore che, da qui in poi, la trama verrà trattata per intero e quindi se non ha visto il film è prudente rimandare l'approccio a questo articolo.
Dopo il successo de "La Favorita" Lanthimos con "Povere Creature" prima e con "Kinds of Kindness" poi è tornato su una rappresentazione più disturbante della realtà. In estrema sintesi, i due protagonisti, Teddy (agricoltore e operaio) e Don (suo cugino, con difficoltà cognitive) rapiscono Michelle Fuller, amministratrice delegata della più potente azienda farmaceutica della zona. Un'azione scaturita dalla ferrea convinzione, in Teddy, che questa non sia altro che un'aliena proveniente da Andromeda, inviata sulla terra per distruggere il pianeta.
"Bugonia" di Lanthimos appare fin da subito come una feroce sintesi delle contraddizioni dell'America contemporanea: in una zona poverissima e rurale, Teddy e il cugino sono prigionieri della propria ignoranza e della capacità di discernere il vero dal falso dalla rete. Teddy dimostra anche una certa intelligenza, ma è completamente obnubilato dalle false informazioni che reperisce su internet. Viceversa, la ricchissima, potente Fuller è una donna dinamica, attenta all'aspetto fisico e alla salute. Ostenta fin dall'inizio un'attenzione verso i propri lavoratori che tradisce, in filigrana, una notevole ipocrisia. Il dialogo tra la donna e i suoi rapitori è fin dai primi istanti impossibile e surreale.
Mano a mano che la pellicola avanza, si svela che la madre di Teddy si trova in stato vegetativo in una clinica, proprio a causa di una sperimentazione della casa farmaceutica della Fuller per cui (si scopre poi) lavora lo stesso Teddy. L'approccio che Fuller adotta nei confronti del suo aguzzino è fin da subito paternalistico: professa la propria laurea in psicologia e cerca di "analizzare" l'interlocutore, promettendo di aiutare sua madre.
Salvo poi, in seguito, non appena intravede una possibilità di fuga e di salvezza, convincerlo che l'antigelo nella sua automobile sia la cura segreta di cui lei ha bisogno. Resasi conto dell'impossibilità di ricondurlo all'ordine logico del mondo, a un certo punto Fuller, si rassegna ad ammettere di essere un'aliena e cerca di circuirlo sfruttando come un'arma le sue stesse fandonie.
Al terzetto nel corso del film si aggiunge il personaggio secondario dello sceriffo, timido, impacciato, roso dai sensi di colpa per qualcosa che, quando era baby sitter di Teddy gli ha fatto e che non viene svelato, lasciando intendere si tratti di abusi di qualche tipo. Più che muovere la trama, aggiunge qualcosa al background del personaggio principale, facendo intuire altri tratti del suo passato.
Nel finale Lanthimos, con il gusto del paradosso che gli è stato spesso tipico, svela che in realtà Teddy aveva ragione: Fuller era davvero un'aliena, incaricata di vigilare sull'umanità un "esperimento" che giudica malriuscito e di cui sancisce la chiusura. Il finale è quindi apocalittico, con l'istantanea fine di tutti gli esseri umani viventi, raccontata con una serie di inquadrature che mostrano i luoghi del quotidiano popolati da cadaveri. Un finale che ricorda, in qualche modo, lo schianto finale di "Melancholia" di Lars Von Trier, e non è l'unico tratto del film che lo accomuna al lavoro del cineasta danese.
Forse uno dei temi più significativi che emerge dalla visione del film è il peso decisivo dell'informazione e della cultura nella "povertà" 2.0. Infatti l'emarginazione dei protagonisti non si concretizza solo nella scarsità dei mezzi e nella solitudine: lo è anche nell'essere completamente in balia della disinformazione. I protagonisti lottano in qualche modo contro il potere che li opprime, non in nome di un'opinione differente o alternativa ma in forza di una vera e propria realtà alternativa che si sono costruiti e che impugnano come simbolo della propria voglia di ribellione. D'altro canto, la potentissima Michelle, accorgendosi che non può vincere con la razionalità, non esita a sfruttare la propria posizione per manipolare i due malcapitati e ottenere quello che vuole. Anche questo è un ritratto abbastanza impietoso della realtà.
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