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28 Dicembre 2025 - 17:57
Prima di diventare un’icona assoluta del cinema e del costume, Brigitte Bardot è passata anche da lì: da un film italiano oggi quasi dimenticato, accolto freddamente e ricordato più per il cast che per il risultato finale. Una parentesi minore, inserita in una fase ancora incerta della sua carriera, quando la popolarità non era una certezza ma una promessa tutta da conquistare.
Nelle ore che hanno seguito la scomparsa di un’icona del cinema e del costume, organi di informazione e appassionati si sono giustamente gettati nella riscoperta dei titoli che hanno reso Brigitte Bardot una celebrità immortale della pellicola. Gli anni Sessanta, le collaborazioni con i registi e gli attori più influenti del cinema francese – da Roger Vadim a Louis Malle, da Jean-Luc Godard a René Clair – e la definitiva nascita di una star sulla bocca di tutti, dentro e fuori dal set.
Brigitte Bardot è stata presenza imprescindibile sui rotocalchi. Elemento simbolico di un’epoca, interprete di un cinema sospeso tra sentimenti e drammi, riflessioni e libertà. Amata dagli uomini e punto di riferimento per le donne. Ma la gavetta, come sempre, c’è stata anche per lei: anni di piccoli ruoli, di tentativi, di sgomitate per emergere, prima che il successo diventasse travolgente.
Prendendo come riferimento il film che la lancia definitivamente, Piace a troppi (1956) di Roger Vadim, e tracciando una breve retrospettiva, emergono accanto a pellicole di poco spessore anche produzioni minori oggi quasi rimosse dalla memoria collettiva. Tra queste spicca una curiosa parentesi italiana che, vista la lista degli interpreti coinvolti, prometterebbe in teoria ben altro.
Si tratta di Mio figlio Nerone, film appartenente al filone delle parodie peplum e considerato tra i titoli meno riusciti di Steno – in realtà figura centrale della grande commedia italiana. Scorrendo i nomi degli interpreti, il cast farebbe impallidire pressoché qualsiasi produzione hollywoodiana: oltre ai mostri sacri nostrani Vittorio De Sica e Alberto Sordi, compaiono due dive immortali come Gloria Swanson e, appunto, Brigitte Bardot.
Eppure il risultato è un film che poco pretende e ancora meno riesce a ottenere. Una commedia che vorrebbe far sorridere senza riuscirci davvero, lasciando scontenti un po’ tutti, compresi molti dei suoi protagonisti. Tra questi anche Alberto Sordi, ancora in rampa di lancio, che per esigenze di trama si ritrova “fidanzato” con quella che di lì a poco sarebbe diventata la donna più desiderata al mondo.
Nella finzione Sordi è Nerone, Bardot è Poppea, in una liberissima reinterpretazione del mito dell’Antica Roma. Il giovane imperatore ozia tra agi e vizi, canta in modo tremendo, si circonda di amici, fino a quando la madre Agrippina non lo costringe a partire per le guerre del Nord, per il bene di Roma. Il film affonda, ma lascia almeno un’immagine curiosa: due attori giovanissimi, ancora inconsapevoli delle rispettive fortune artistiche, affiancati da celebrità già entrate nella storia del cinema come De Sica e Gloria Swanson.
Non sappiamo se Brigitte Bardot abbia conservato un qualche ricordo di questa piccola parentesi nostrana. Del resto è tutto ciò che è venuto dopo ad averle spalancato le porte dell’Olimpo cinematografico. Ma l’idea che, prima del mito, la diva sia passata anche da un film sbagliato, goffo e dimenticato, restituisce alla leggenda una dimensione sorprendentemente umana. Ed è forse questo l’aspetto più curioso di tutta la storia.
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