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06 Settembre 2015 - 09:32
La vita del musicofilo è spesso appesa, manco a farlo apposta, proprio a un filo: quel sottile, esile e assai fragile, trait d'union tra la musica ascoltata in casa o in auto, quella live, e il tempo che, tra un buco e l'altro, compatibilmente con gli impegni lavorativi e familiari, uno riesce a ritagliarsi per poterlo dedicare alla propria passione. È un lavoro nel lavoro, un'opera di cesello. Tale e tanto quanto mettere insieme la propria parola con quella di chi si ritrova dopo anni a riprendere in mano una penna e dar in prestito le proprie orecchie per soddisfare le curiosità del pubblico e del musicofilo fuori sede raccontando le proprie esperienze musicali in occasione del ToDays Festival che si è svolto a Torino lo scorso week-end; un festival che, così, a Torino, poteva uscire solo da una mente come quella di Gianluca Gozzi, direttore artistico che negli ultimi anni ha animato (sPAZIO 211 e Blah Blah) le serate musicali del capoluogo piemontese.
Per chi arriva da fuori essere puntuali a un appuntamento può rivelarsi promessa assai difficile da mantenere, per cui è d'obbligo, per il musicofilo che ne scrive, ancor più che per il lettore, derogare a sé stesso e al proprio desiderio di ubiquità; e se quello che si cerca è un giudizio sulla manifestazione, più possibile obiettivo e ponderato, le lacune non lo possono permettere.
La varietà di proposta, pubblico e location che il cartellone non ha fatto mancare, ha potuto così accontentare anche le orecchie più esigenti e gli ascoltatori più di nicchia, quelli dalla lamentela facile, come chi scrive, che facilmente qualcuno avrà sentito borbottare: “i live seri esistono solo a Londra o a Berlino e se proprio per non vogliamo escludere lo stivale a Milano puoi ogni tanto levarti il languorino!”.
A metterci la lingua tra i denti ci han pensato Gozzi e compagnia con questa tre giorni da ricordare. Ecco perchè l'idea di uno sforzo a quattro mani, con cui dipingere con due punti di vista diversi e su luoghi differenti, ciò che è stato e che ha rappresentato il ToDays Festival. Con quello che è piaciuto, quello che ha convinto e ciò su cui forse si potrà fare dei paragoni nella prossima edizione.
Giorno1. TV on The Radio. Musicisti con i controfiocchi, nonostante i suoni
Essere arrivati, venerdì, al brucio, ma in tempo perfetto per non perdere l'introduzione del live dei TV on the Radio è un elemento (anche se par poca cosa) che aiuta a girare il pollice verso l'alto. La band è composta da autentici mostri del palcoscenico, ciascuno con il proprio ruolo e la propria parte; su tutti svetta Kyp Malon, grande, grosso e con la sua lunga, folta e arricciata barba dalle innumerevoli tonalità di grigio, più o meno corvino alla radice e cangiante verso l'estremità, a cui fa da contraltare Dave Sitek (spesso e volentieri statico, ma nel live i suoi suoni si vedono e soprattutto si sentono); chi ha invece libertà di campo e di azione è Tunde Adebimpe. Il live è vario per suoni e virate di stile, unica pecca la qualità non impeccabile dei suoni (non si è capito se dovuta a una scelta stilistica o a problematiche di altro genere), troppo “compressi”, che lasciavano poco spazio all'ascoltatore più esigente e ancor più desideroso di oscillazioni più ampie tra le alte frequenze e le gravità più cavernose.
Giorno1. Vedi Murcof e poi muori
Sei anni sono passati dall'ultimo Murcof (9 maggio 2009), quel live – tenutosi sempre qui in zona – nella Cappella di Sant'Uberto della Reggia di Venaria. Le carte che si giocano in questo spazio, nella prima sera del ToDays, sono però del tutto diverse: parliamo infatti di un progetto a due con i torinesi Ozmotic. U235 (acronimo dell'uranio radioattivo) è un progetto audio video pensato e realizzato ad hoc per questo festival, che vede interagire gli artisti tra set acustici, interferenze di pura materia elettronica, improvvisazioni, campioni e videoarte. Un linguaggio a tutto tondo che scavalca i confini di un genere e mette in scena in chiave decisamente interessante e contemporanea il suono e l'arte visiva. Computer music ed elettronica colta dalle atmosfere cupe per Fernando Corona (in arte Murcof), sax, batteria e oggetti elettronici per gli Ozmotic a cui si aggiungono inaspettatamente una serie di interazioni video che danno al sonoro una tangibile identità, dall'indubbia personalità. L'accoppiata è di ottima riuscita, il pubblico risponde bene e le menti artistiche sembrano fondersi in un tutt'uno mantenendo le peculiarità di ognuno e incastrandosi a dovere tra beat, chiaro scuri elettroacustici e atmosfere galattiche dal profumo dark ambient.
Giorno1. Colori notturni in Silent Area
La serata del 28 agosto si conclude con i numerosi artisti proposti nella nottata dei Docks: 5 “club” per 5 colori diversi ed a spezzare il suono ai confini delle mura, l'innovativo sistema della “silent area”, a consentire la diffusione dell’audio senza fili attraverso cuffie wireless e permettendo l'ascolto anche al di fuori delle aree in cui avvenivano i set. Era sufficiente scegliere il colore, scegliere la stazione e sentire l'artista preferito, con buona pace della scelta autonoma del luogo d'ascolto. I beat sicuramente più attesi sono stati quelli del progetto Blanck Mass di Benjamin John Power (metà dei Fuck Buttons), mentre le scoperte più inaspettate sono state ai GreenDocks le esplorazioni per pianoforte di Carlos Cipa e il potenziale, per elettronica e archi, di Sebastian Plano: per quest'ultimo impianto modern classical e quella giusta dose di malinconia.
Giorno 2. Te lo do io il rock!
Linea 77 e COV (per i Cyborgs non ce la si fa ad arrivare per tempo), non sono forse la scelta più adatta per aprire i Verdena. Si poteva andare in due direzioni in una serata del genere: o affiancare un'anteprima più sonnolenta, o al contrario provare a ribaltare gli equilibri. Se i “Linea” sanno fare il loro e comunque aggiungere qualcosa, nonostante si rimanga un briciolo sopra le righe, i COV appaiono decontestualizzati dalla giornata.
Giorno2. Verdena come non ci fosse un domani
I Verdena sono una delle band più strane sulla faccia del panorama della musica italiana: potenzialmente una delle realtà artistiche con maggiore chances di esportazione, ma anche la band capace di essere, live, un'incognita perenne tra i suoni che arrivano all'ascoltatore, quelli che la band riceve in spia, e quelli che si riconcorrono da una parte all'altra sbattendo qua e là. È andata bene: per chi scrive forse la migliore performance live della band di Alzano che propone un live imperniato sull'ultimo lavoro (ma non il troppo recente volume secondo), e sulla produzione più recente (Requiem e Wow, molto sparute le digressioni verso il passato); in altri casi, l'ascoltatore ne potrebbe rimanere deluso, questo non succede con i Verdena, capaci di proporre un set pieno di rock e suoni impeccabili (con buona pace di Alberto Ferrari che durante i bis si è lasciato andare ad alcuni commenti non proprio felici su come loro, invece, stessero vivendo il live sul palco), digressioni psichedeliche, accenni, introduzioni e allusioni, tra il serio e il faceto (a Beatles e Queen). Uno di quei concerti, a differenze di tante altre occasioni, da mettere nello scaffale degli eventi memorabili.
Giorno2. Ryoji Ikeda e il suo Supercodex
Dopo esser corsa il15 aprile all'Elita Design Week Festival per non perderlo eccolo rispuntare sotto casa, l'amato e venerato maestro Ikeda. Il compositore giapponese, indiscutibile precursore della computer music non si smentisce, sottolineando in sessanta minuti o giù di lì la sua devastante ed inafferrabile eleganza nel mescolare tecnologia e arte per video ad abstract techno. Supercodex (suo ultimo progetto) non poteva desiderare spazio migliore per esprimere a pieno regime le sue detonazioni audiovideo. Padrone di algoritmi visivi e matematica del suono Ikeda dimostra ad oggi una raggiunta e disarmante padronanza nel cesellare lo spazio tra brutali incursioni noise e affilate armi in beat che portano l'orecchio dell'ascoltatore a una totale sottomissione: qualcheduno di questi si sarà indolenzito, specie per i neofiti che avranno di ché raccontare, e per gli “intenditori” un live che di certo si aggiudica il primo posto in classifica. Bando alle chiacchiere: Torino entra di diritto nella lista delle migliori location per questo genere di aspettative sonore.
Giorno 3. Interpol, chi?
L'ultimo live del festival lascia un po' l'amaro in bocca, ma per lo meno non smentisce che un festival è fatto anche per illudersi, gasarsi, ricredersi o tornare con i piedi per terra. Chi ha avuto modo di apprezzare gli Interpol come chi scrive, pur non riconoscendone le qualità di band da “primissima fascia”, ne ha sempre apprezzato la capacità di tirar fuori con poco delle autentiche hits radiofoniche. Il live al ToDays oltre a sottolineare in modo chiaro che il pregio di questa band ne è anche lo stesso limite, ha messo in luce un trio (supportato da tournisti alle tastiere e al basso) incapace di trovare il giusto groove da dare alla serata (i molti fan accorsi invece pare abbiano apprezzato e molto): le linee sonore tendenzialmente ripetitive abbozzano uno stato emozionale in cui la base ritmica non prende mai il sopravvento. Una cosa voluta probabilmente, anzi sicuramente; forse però un limite che ne fa una band da prendere in considerazione più su disco che in live.
Giorni 1, 2 e 3. Che festa, questa “INRI Fest”!
Intelligente l'idea di commissionare a una delle etichette emergenti più in voga nel panorama italiano (per di più torinese) e che, complice il successo di Levante, riesce a muoversi in quel mondo che sta a metà tra il panorama “main stream” della musica italiana e il mondo più “alternative”. Levante ha dato il meglio di sé (nei limiti di quello che è il pop che propone) e la band che la accompagna in modo particolare dimostra di essere assai di livello; Dardust ha dedicato troppo del suo set alle estemporanee divagazioni citazionistiche (un po' troppa “piaciona” come scelta); i Linea 77 sono di casa (un po' in tutta Torino) sono una band da live e sanno fare il loro show, che possa piacere o meno; bella scoperta gli Anthony Laszlo, perchè sprigionare quella potenza di fuoco e di suono in due, bisogna avere i nervi e i muscoli belli allenati e la mente sufficientemente
Architettura
La scelta delle architetture hanno fatto breccia nel cuore, partendo dal MEF (museo Ettore Fico), nuovo polo espositivo nato da un attento progetto di riqualificazione dell'ex fabbrica Incet. Un impeccabile studio di linee, geometrie, essenzialità, luminosità e materiali che nulla hanno a che invidiare a tanta buona architettura fatta di cura, anima e sapienza. Per poi arrivare ai vecchi depositi e magazzini ferroviari dei Docks; mura che trasudano storia (parliamo degli inizi del '900), luoghi dalle mille risorse artistico culturali che si classificano tra i migliori esemplari di architettura industriale presenti in città e non solo. L'obbiettivo è centrato, l'ascoltatore pretenzioso è preso per la gola e quindi non basta che arrivare puntuali perché di fatto ogni evento proposto è gratuito e io la prima fila non me la voglio perdere.
Il biglietto unico
I complessivi 35 € euro come costo dell'abbonamento per tre giorni di live distribuiti su più aree dimostrano una scelta chiara e onesta: si conoscono le difficoltà di chi è appassionato di musica (generalmente quella fascia di età che non ha ancora una disponibilità di spesa particolarmente ampia), non si vuole esagerare nella pretesa economica (più siamo meglio stiamo) e lungimirante (se ti abboni non rischi di perderti i sold out).
Dare la disponibilità di un ingresso gratuito a tutti gli eventi collaterali con orari troppo ravvicinati rispetto al programma del "main stage" (specie per gli appuntamenti di nicchia) ha impedito a chi volesse ascoltare tutto il live dei TV on The Radio o dei Verdena di perdersi (trovandosi le porte da poco chiuse per raggiunto limite di capienza) i set di Murcof o di Rioji Ikeda. Fisime per gente che è appassionata di tutto forse; si suggerisce piuttosto una programmazione parallela in modo che gli spettatori possano scegliere o, al contrario, una corsia preferenziale per i maniaco-compulsivi che hanno bisogno di vedere tutto.
La conclusione
Sarebbe stato bello poter aggiungere qualcosa su Il Pensiero Sarà un Suono, progetto ambizioso e di cui, a caldo, domenica, al termine del festival, si sentivano commenti entusiasti, o di Aka, progetto di “esportazione” del nuovo torinese che avanza. Non ce n'è stata la possibilità, almeno qui, almeno per quest'anno.
Si potrebbe dire che il ToDays Festival sia stato un festival dal giudizio più che positivo, di cui si sentiva la mancanza (per chi ricorderà l'epica gioia dei primi Traffic o di tutti gli “sPAZIALE”) in una città come Torino. La speranza è che questo appuntamento possa crescere e ci si possa ritrovare tra un anno a parlare di un'esaltante seconda edizione.
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