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Due mucche uccise e sbranate dai lupi in alpeggio in Val Corsaglia

La rabbia della giovane allevatrice: «Zanda e Ginestra sarebbero diventate madri tra poco. Invece hanno fatto una fine brutale, il nostro dolore merita rispetto»

Due mucche uccise e sbranate dai lupi in alpeggio in Val Corsaglia

Una delle due mucche sbranate in Val Corsaglia

In Alta Val Corsaglia, dove si trovavano al pascolo, due vacche sono state attaccate e uccise dai lupi. L’episodio, avvenuto in questi giorni, ha lasciato sgomento il mondo agricolo locale e sollevato nuove polemiche sulla convivenza tra allevatori e grandi predatori.

Le due vacche, di nome "Zanda" e "Ginestra", stavano trascorrendo gli ultimi giorni d’alpeggio in montagna, pronte a scendere a valle per affrontare l’inverno e, soprattutto, per dare nuova vita a un’altra generazione. Ma il loro destino è stato segnato da un attacco brutale.

Il veterinario della Asl ha specificato anche la particolare voracità dei predatori, che hanno mangiato una delle due mucche per oltre il 75/80%, vale a dire decine e decine di chili di carne.

A raccontare l'accaduto è la giovane allevatrice proprietaria degli animali, con la famiglia, che ci ha detto anche che, in quella zona, gli avvistamenti di lupi sono ormai all'ordine del giorno.

“Zanda e Ginestra erano due vacche che trascorrevano l’estate in Valle Corsaglia. Presto sarebbero dovute scendere a valle, pronte a diventare madri un’altra volta. Ma questo non è stato possibile. La natura — o meglio, chi crede di averla sotto controllo — ha deciso diversamente. In un giorno di fine settembre, Zanda e Ginestra sono state sbranate vive dai lupi. Una fine brutale. Vi sembra normale?”

Nelle sue parole emerge il dolore di chi vive quotidianamente un mestiere duro, fatto di sacrifici, di legami profondi con gli animali e con la montagna.

“Per alcuni è solo il corso della natura — aggiunge —. Ma allora mi chiedo: se un giorno, nel vostro lavoro, vi svegliaste e mancasse qualcosa a cui siete profondamente legati, direste ancora che è ‘solo la natura che fa il suo corso’? Il nostro non è solo un lavoro. È uno stile di vita. È una vita in cui il tempo decide il momento del raccolto e del ritorno dagli alpeggi. È una vita in cui la fauna selvatica può decidere se divorare il tuo mais o i tuoi animali. Il dolore che resta non è ‘naturale’. È reale. È umano. E merita rispetto”.

Il caso riaccende il dibattito sulla gestione della fauna selvatica in montagna. Se da una parte si sottolinea il ruolo fondamentale del lupo nell’ecosistema, dall’altra gli allevatori chiedono maggiori tutele per le proprie mandrie, ricordando come la sopravvivenza delle aziende agricole di montagna sia sempre più minacciata.

Per la famiglia proprietaria degli animali, come per tanti allevatori, la montagna non è solo un luogo di lavoro, ma un mondo da custodire. Un mondo che, quando viene ferito, lascia cicatrici profonde non solo nella terra, ma anche nelle persone.

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