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Detenuti per reati di mafia trovati col telefono in carcere

Maxi operazione della DIA, perquisizioni anche a Cuneo e Fossano

carcere cuneo

È una mega operazione quella scattata questa mattina in 12 istituti penitenziaritra cui anche la casa circondariale di Cuneo e la casa di reclusione di Fossano, coordinata dalla DIA - Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova, ed eseguita dal Centro Operativo Dia di Genova con il supporto della Polizia Penitenziaria, della Polizia di Stato e dei Carabinieri. Le perquisizioni sono in corso anche nelle carceri di Ivrea, Alessandria, Tolmezzo, Chiavari, La Spezia, Parma, San Gimignano, Lanciano, Rossano e Santa Maria Capua Vetere.

Un'operazione volta a smantellare la rete criminale che avrebbe favorito l’introduzione e l’uso illecito di smartphone e dispositivi di comunicazione da parte dei detenuti,reati di mafia.

In totale sono 31 gli indagati, accusati a vario titolo di aver procurato o favorito l’uso illecito di telefoni cellulari in carcere, reati contestati ai sensi degli articoli 391 ter e 648 del Codice penale, con l’aggravante dell’articolo 416 bis.1 per il presunto agevolamento alle attività mafiose. Dodici i detenuti direttamente coinvolti. Tramite intercettazioni, analisi dei tabulati e accertamenti telematici gli inquirenti hanno ricostruito un traffico interno di oltre 150 cellulari e 115 SIM nelle sezioni di alta sicurezza del carcere di Genova-Marassi.

Smartphone e altri dispositivi venivano introdotti illegalmente negli istituti penitenziari e messi a disposizione di soggetti ristretti per reati di mafia, consentendo loro di mantenere comunicazioni illecite con l’esterno e continuare a gestire rapporti e attività delle cosche. Le sim venivano attivate in negozi compiacenti del centro storico di Genova e intestate a persone inesistenti o inconsapevoli, spesso cittadini stranieri. I telefoni, anche di dimensioni ridottissime, venivano introdotti in carcere attraverso pacchi, consegne durante i colloqui familiari o altri canali clandestini. Anche alcuni parenti dei detenuti risultano tra gli indagati.

Una volta all’interno, i dispositivi venivano passati di mano in mano tra i detenuti, permettendo loro di mantenere contatti con membri delle organizzazioni criminali liberi o reclusi altrove. Le comunicazioni riguardavano anche il recapito delle cosiddette “ambasciate”, messaggi riservati utili a impartire ordini o coordinare attività delle cosche, in particolare della ’ndrangheta.

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