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22 Ottobre 2025 - 08:37
«Pro-israeliani, pro-palestinesi che senso ha? Divisioni, fratture, polarizzazione non aiutano nessuna delle due parti». Queste sono le parole di Rana Salman e Eszter Koranyi, le due codirettrici di “Combatants For Peace” che sabato 25 ottobre saranno a Mondovì per il Premio Res Publica 2025. La cerimonia alle ore 16 presso la Chiesa della Missione a Mondovì Piazza.
Il riconoscimento, simboleggiato da una scultura bronzea di Riccardo Cordero, è stato inventato da Antonio Maria Costa, ex sottosegretario generale delle Nazioni Unite e direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, economista, scrittore, saggista. Oltre che alle due referenti di “Combatants for Peace”, il premio 2025 verrà conferito: all’Associazione-rete “Talitha Kum” (sarà presente sorella Aabby Avelino), fondata nel 2009 presso l’Unione Internazionale Superiore Generali (UISG), che lotta contro la tratta di esseri umani e sfruttamento; al musicista, vocalist e performer sudafricano Trésor Riziki (Sud Africa), un artista contemporaneo urban-electro afropop che ha totalizzato milioni di ascolti on line con brani come “Mount Everest”; all’Arma dei Carabinieri, per la categoria “Sicurezza e Senso Civico”: un premio che acquisisce un significato ancora più intenso dopo i tragici fatti di Castel D’Azzano.
Eszter Koranyi è ebrea, nata in Ungheria, oggi vive in Israele ed è da anni impegnata a chiedere la fine dell’occupazione. Rana Salman è palestinese, originaria di Betlemme, viene da una famiglia rifugiata dalla Nakba del 1948.
Sono co-direttrici di “Combatants for Peace”, una organizzazione di israeliani e palestinesi che combattono l’occupazione e provano a praticare azioni di pace, dal 2006. Sono due protagoniste assolute in questo momento storico. La loro presenza (oltre che a Mondovì, sono attese a Milano il 23 ottobre) consentirà di affrontare l’argomento che oggi è letteralmente al centro del mondo con una prospettiva più che mai diretta.
«Pro-israeliani, pro-palestinesi che senso ha? Divisioni, fratture, polarizzazione non aiutano nessuna delle due parti – hanno dichiarato le due attiviste ad “Avvenire” –. Se possiamo trarre una lezione dalla tragedia del 7 ottobre è che la guerra non ha una soluzione militare. Proseguire su questa strada non fa che innalzare il livello dello scontro e estendere il conflitto. La deflagrazione rischia di dilaniare non solo la regione. Se volete prendere una parte, prendete quella della giustizia, del dialogo, della convivenza. Questo sì può aiutarci. Noi, donne e uomini che vivono fra il Giordano e il Mare, dobbiamo trovare un modo per vivere insieme con dignità ed uguaglianza. Il sostegno della comunità internazionale può aiutarci».
La loro è una storia che si incrocia grazie a un elemento comune: la voglia di conoscere “l’altra parte”.
Eszter è nata e cresciuta in Ungheria in una famiglia di ebrei sopravvissuti alla Shoah. All’età di 12 anni ha visitato per la prima volta Israele. Cresciuta, ha cominciato a interessarsi al conflitto: e ha deciso di “toccare con mano l’altra metà della storia”, iniziando a conoscere la Cisgiordania. «Quando ho deciso di trasferirmi lì – ha raccontato –, mi sono detta: se devi stare qui, cerca di essere parte della soluzione non del problema».
Rana, invece, vive da sempre a Betlemme e vede la guerra da quando era bambina: «Ricordo le restrizioni del 1993 – ha detto –. Conoscere un israeliano che non fosse un soldato o un colono è diventato quasi impossibile. Non mi sono, però, mai voluta rassegnare alla separazione. Nutrivo il forte desiderio di sapere com’era “l’altra parte”». Si sono poi conosciute in “Combatants for Peace”. E portano avanti l’Associazione, dai rispettivi Paesi, insieme.
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