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28 Luglio 2025 - 15:13
Asia Cogliandro, in dolce attesa
Una carriera lunga quindici anni tra serie A1 e A2 e un esordio con promozione in serie A1, firmato a maggio 2024: quel rinnovo sembrava la conferma di una “grande storia d’amore” tra Asia Cogliandro e il Perugia. Poi, però, a gennaio 2025, la svolta: la centrale scopre di essere incinta e decide di comunicarlo, chiedendo riservatezza per via del rischio legato alla gravidanza.
La reazione del club e la rottura del contratto
Nonostante le iniziali congratulazioni, la situazione precipita in fretta: «Dopo aver detto della gravidanza – racconta –, lo scenario è cambiato. Le pressioni arrivano immediatamente: mi dicono di lasciare casa e di restituire le mensilità già pagate. Il messaggio è chiaro: devo andarmene».
La proposta di mediazione ignorata
Asia cerca una soluzione alternativa: offre accordi di sospensione del contratto, incarichi d’ufficio o attività da remoto per i mesi successivi. Tuttavia: «Purtroppo il loro unico intento era sbarazzarsi di me. Ho persino ipotizzato di congelare il contratto fino al rientro, alle stesse condizioni. Io in carriera ho avuto infortuni: quando sei ferma ti pagano, se sei incinta sei da allontanare. Mi hanno dato dell’ingrata».
La differenza tra l’offerta del club e il compenso fino alla naturale scadenza del contratto ammonta a circa 12 mila euro, una cifra che Cogliandro definisce «stupida», ma che rappresenta soprattutto una ferita morale: «Una violenza psicologica che non posso accettare».
I numeri della carriera
Asia ha accumulato una carriera solida tra campionati di A2 e diverse apparizioni in A1. In più stagioni è stata avversaria di Mondovì, in giro per l’Italia e anche al PalaManera (nel 2016 con Filottrano e nel 2020 con Roma). A Perugia avrebbe messo la sua esperienza a disposizione del gruppo, anche se non necessariamente come titolare: «Se non fossi rimasta incinta avrei trovato il mio spazio» ha raccontato.
Le sue parole sui social e tramite i media
Tramite i media nazionali e i suoi canali social, Asia ha spiegato: «Quando ho scoperto di essere incinta ho chiesto riservatezza, ma non è stato così. Mi hanno detto che dovevo andare via. Ho proposto di darmi un lavoro d’ufficio, ma il loro unico intento era sbarazzarsi di me. Se sei infortunata ti pagano, se sei incinta ti allontanano. Mi hanno anche dato dell’ingrata. Al di là delle celebrazioni per le stupende vittorie che la pallavolo italiana sta ottenendo… è arrivato il momento di riflettere sulla regolamentazione di alcune situazioni che danneggiano le atlete, in quanto sportive e in quanto donne. Oltre alla parità salariale e al riconoscimento professionistico, c’è ancora molto da fare».
Le reazioni delle istituzioni del volley
La Federazione Italiana Pallavolo (Fipav), tramite il presidente Giuseppe Manfredi, ha espresso piena solidarietà a Asia definendo la maternità «Non può mai essere vista come una colpa, né tantomeno un ostacolo alla carriera di una sportiva». Riaffermata anche l’importanza del fondo istituito dalla Federazione, "La maternità è di tutti", che supporta le atlete-madri.
Anche la Lega Volley Serie A femminile, per bocca del presidente Mauro Fabris, ha manifestato rammarico: «La situazione tra Perugia e l’atleta Asia Cogliandro poteva e doveva essere evitata, con sensibilità e buon senso. La maternità è un diritto, una cosa bellissima… questa vicenda ci colpisce e ci rattrista ancora di più».
Un problema più ampio: contratti, tutela e discriminazioni
La giocatrice ricorda il caso simile della collega Laura Lugli, che vestì anche la maglia dell'allora Lpm Mondovì, nell'anno della promozione dalla B1 alla A2. Anche lei fu allontanata dal suo club dopo la gravidanza e intraprese una causa legale. Alla fine, Asia ribadisce: «Siamo co.co.co., non professioniste. Qualcosa è stato modificato, ma dovrebbero esserci più tutele… Se continuiamo ad accettare compromessi, non sarò l’ultima. È ora di dire basta».
La vicenda di Asia Cogliandro è un duro richiamo a riflettere su quanto la maternità continui a essere, in molti ambienti sportivi italiani, percepita come un peso invece che un diritto. La sua testimonianza solleva questioni cruciale su diritti contrattuali, tutela della maternità e discriminazione di genere nel mondo dello sport. Asia chiude il suo messaggio con parole nitide: «Lo sport che amavo ora mi disgusta». Una tragedia personale, ma anche un campanello d’allarme per tutto il movimento.
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