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01 Agosto 2025 - 17:28
Il sostituto commissario Valter Ponteprino
Dopo quasi quarant'anni al servizio dello Stato, Valter Ponteprino, sostituto Commissario della Polizia, si congeda lasciando dietro di sé una carriera che profuma di coraggio, sacrificio e straordinaria dedizione. Il suo è un nome che, tra le mura della Questura di Torino e nei corridoi del Commissariato di Rivoli, è sinonimo di affidabilità e sangue freddo. Ma è soprattutto sul campo, nei momenti in cui tutto sembrava sul punto di crollare, che Ponteprino ha lasciato il segno più profondo.
Originario di Torresina, conosciuto anche a Ceva e Mondovì, Valter comincia il suo viaggio nella “Divisa” con una delle emergenze più gravi della storia recente italiana: l'alluvione della Valtellina del 1987. Mentre il fango spazzava via interi villaggi e la paura gelava il sangue, Valter era lì, tra le macerie, a soccorrere chi aveva perso tutto. È un'immagine che non ha mai abbandonato la sua memoria, e che forse ha tracciato il filo conduttore di una vita spesa per proteggere.
Il suo percorso, però, si tinge presto di un'altra emergenza: quella del terrorismo mafioso. A seguito dei feroci omicidi di mafia e in concomitanza con il maxi-processo che avrebbe riscritto la storia criminale d'Italia, Ponteprino fu inviato a Palermo. Lì visse gli anni più bui, ma anche più eroici della lotta alla mafia. Un tempo in cui bastava una distrazione per saltare in aria, e in cui la parola “dovere” significava anche “sacrificio”.
Nel corso del suo impegno palermitano, assegnato alla scorta del giudice Signorino, Ponteprino si trovò immerso in un capitolo drammatico della storia italiana, segnato dal sacrificio tragico di uomini e donne che offrirono la vita per proteggere il Paese, martoriato, qualche anno dopo dalle stragi di Capaci e via D'Amelio, che costarono la vita non solo ai giudici Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo, e Palo Borsellino, ma anche a otto agenti.
Per Valter, lavorare in quel mondo significava essere entrato in una comunità segnata dal dolore e dal coraggio, dove il confine tra protezione e vittima si è spesso ridotto all'istante in cui scattava l'esplosione.
«Vivevamo blindati – ci racconta –, in un edificio che chiamavamo “Le tre torri”, nel quartiere Favorita. Si respirava un'aria pesante in città, molti colleghi avevano già perso la vita e quindi ti sentivi osservato, a disagio. Una situazione davvero brutta».
Quel sacrificio ha scolpito in lui la consapevolezza profonda di cosa significhi “servire” fino all'estremo, scegliendo l'onore anche quando il prezzo era la vita stessa.
Tornato dal “fronte siciliano”, il suo servizio ha assunto un respiro internazionale. Ha preso parte a missioni estere, collaborando con le Forze di Polizia di altri Paesi per contrastare crimini transnazionali. E non ha mai smesso di rischiare, nemmeno quando si trattava di fronteggiare le situazioni più tese in patria.
Come durante un delicato servizio d'ordine pubblico allo stadio, il derby Juve-Torino del22 novembre 1992. Valter, allora 25enne, vedendo un collega aggredito da un gruppo di circa 200 ultras, non esitò a lanciarsi da solo nella mischia per salvarlo.
«Eravamo in servizio fin dalla mattinata – ci spiega –. Quelli erano anni in cui gli ultras dimostravano tutta la loro violenza, ogni domenica. Fummo aggrediti: io ero in auto, che iniziò ad essere colpita dai teppisti. Il mio collega, invece, era fuori. In quei frangenti non stai troppo a pensare e quindi, d'istinto, mi lanciai fuori dall'autovettura per salvarlo. Mi ritrovai accerchiato: all'inizio riuscii a difendermi, poi venni aggredito con spranghe, catene e bastoni e venni colpito da un manico di piccone che mi ruppe il casco protettivo. Caddi a terra e gli ultras ne approfittarono per continuare a colpirmi, sul petto, sulle spalle avevo i segni degli anelli delle catene. Per fortuna ero riuscito a dare l'allarme e venni poi raggiunto dai blindati della Celere. Sono salvo per miracolo».
Un'esperienza forte e drammatica, un gesto d'eroismo per il quale Valter fu inserito nell' Albo d'Onore della Polizia di Stato, con tanto di riconoscimento dell’Encomio Solenne da parte del Ministro dell'Interno.
Non fu l'unico episodio a meritare l'attenzione dei vertici. Durante un “rave party” degenerato in violenza, Valter gestì con sangue freddo l'intervento di contenimento contro centinaia di giovani che cercavano di forzare i blocchi, perfino tentando di investire gli agenti. Per questo episodio, il capo della Polizia gli conferì una “Lode ufficiale”.
Un'altra lode, sempre firmata dalla Direzione centrale, gli arrivò per le sue indagini di Polizia giudiziaria: accurate, incisive, capaci di colpire i bersagli giusti nel mondo dell'illegalità.
Negli ultimi anni, ha prestato servizio presso il Commissariato di Rivoli. Qui non è stato soltanto un investigatore, ma un punto di riferimento per Istituzioni, aziende, sindacati e cittadini. Come vicedirigente, ha curato delicatissimi Affari Interni e tematiche antimafia, dimostrando che un poliziotto può essere tanto uomo d'azione quanto mediatore e figura istituzionale.
E come ultima missione della sua carriera, la recente operazione di contrasto alle violenze scoppiate sull' Autostrada Torino-Bardonecchia a seguito delle proteste No-Tav, culminate anche con il lancio di bombe-carta contro i poliziotti.
Ora, con una medaglia d'oro al merito di servizio consegnatagli direttamente dal capo della Polizia, il sostituto Commissario Ponteprino lascia il servizio attivo e potrà godersi un po' di più la sua amata Torresina.
«Torresina è il paese dei miei genitori, dove sono cresciuto e che è sempre nel mio cuore. Mia mamma vive ancora lì e io ci vado ogni settimana, quando posso ci passo le ferie. È il mio rifugio e non ho mai rinunciato a viverla».
Ma lasciare la “Divisa” non sarà semplice.
«Fare il poliziotto è stata un'esperienza fantastica – ci racconta Valter non senza emozione –. È un lavoro che non è mai uguale a se stesso, che ti mette alla prova ogni giorno, ma che ti regala anche momenti impagabili. Il sorriso di un bambino che salvi, o il grazie sussurrato da una persona che hai aiutato, sono cose che ti restano dentro per sempre».
Non manca un pensiero alla famiglia.
«È un mestiere che chiede molto anche a chi ti sta vicino. Ma ogni sacrificio scompare quando senti di aver fatto la differenza».
Poi, rivolgendosi ai giovani, conclude con un invito che ha il sapore della testimonianza.
«Consiglio a tutti i ragazzi di entrare in Polizia. È una grande famiglia. E quando ci sei dentro, capisci davvero cosa significa proteggere e servire».
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