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02 Agosto 2025 - 09:48
«La montagna attrae. Che piaccia o no». Con queste parole, Roberto Colombero, presidente di Uncem Piemonte, ha chiuso un partecipato incontro al Centro polifunzionale di Marmora e Canosio, nella suggestiva cornice della Valle Maira. Un’occasione preziosa per presentare il “Rapporto Montagne Italia 2025”, che si è rivelato molto più di una semplice raccolta dati: è un manifesto politico, una chiamata alla responsabilità collettiva, un invito ad abbandonare la retorica del lamento per costruire insieme un futuro possibile.
Il Rapporto fotografa una montagna che non arretra ma avanza e smonta il luogo comune dello spopolamento inarrestabile. I numeri parlano chiaro: tra il 2019 e il 2023 il saldo migratorio delle aree montane italiane è tornato positivo. In Piemonte, il dato raggiunge il +26 per mille, ma nel Cuneese alcune valli fanno ancora meglio, molto meglio.
Con un incredibile +43,5 per mille, la Val Tanaro emerge come uno dei territori più dinamici. La componente straniera incide in maniera significativa (+62,7 per mille), ma sorprende anche la ripresa italiana interna (+41,5 per mille), segno di un rientro e reinsediamento consapevole. Questa valle non pare più soltanto luogo di passaggio o nostalgico rifugio per pensionati, ma uno spazio d’impresa, progettazione e ritorno.
Per quanto concerne le Valli del Monregalese, con Comuni quali Vicoforte, San Michele M.vì, Montaldo e Roburent, si sfiora un brillante +33 per mille, frutto di una fortissima attrattività per cittadini stranieri (+188 per mille). Questo dato, se da un lato indica capacità di accoglienza, dall’altro chiama a rafforzare politiche d’integrazione e stabilità.
Nel mosaico delle Valli Mongia e Cevetta, Langa Cebana, Alta Valle Bormida, invece, si distingue un +13 per mille complessivo, ma con un saldo negativo per gli stranieri (-25,8) e positivo per gli italiani (+16,2). Segno di un territorio che resta attrattivo per chi lo conosce già, ma fatica ancora ad accogliere chi viene da lontano.
L’Alta Langa, da Paroldo a Mombarcaro, da Cortemilia a Gorzegno, mostra una crescita coerente e costante: +25 per mille nel saldo migratorio totale, grazie soprattutto al ritorno di cittadini italiani (+25,4 per mille). È un territorio che continua a coltivare una doppia vocazione: agricola e culturale.
Se il ritorno demografico è il sintomo, la vera causa è un tessuto economico che, pur tra mille difficoltà, cerca di ritrovare slancio. Le terre alte non vivono solo di bellezza: sono oggi anche luoghi dove fare impresa, innovare, coltivare, accogliere. Nel contesto montano nazionale, si contano 9,2 imprese ogni 100 abitanti, con una presenza artigiana ben superiore alla media italiana (27,4% contro il 24,6%). In particolare, le imprese con titolari donne sono il 25,2%, e quelle con giovani imprenditori il 9,4%: segni di una rinascita generazionale che tocca anche le nostre valli.
Nella Val Tanaro, si sale ad oltre 10 imprese ogni 100 abitanti, con quasi 31% di presenza artigiana, il 26,3% di imprese femminili, il 10% di attività gestite da giovani e il 6,2% da stranieri.
Per le Valli monregalesi, le imprese ogni 100 abitanti sono 9,3, la presenza artigiana è del 33,2%, le imprese femminili al 22,3%, quelle dei giovani al 9,2%, quelle di stranieri al 5,6%.
Nella Valle Mongia, Cevetta, Langa Cebana e Alta Valle Bormida, le imprese ogni 100 abitanti sono 11,5, la presenza artigiana è del 21,5%, le imprese femminili al 33%, quelle dei giovani al 5,6%, quelle di stranieri al 5,9%.
In Alta Langa, le imprese ogni 100 abitanti sono 15,7, la presenza artigiana è del 18,6%, le imprese femminili al 27,8%, quelle dei giovani al 8,3%, quelle di stranieri al 6%.
Sebbene le imprese agricole siano meno dense che altrove (1,7 ogni km² contro una media nazionale di 3,1), la loro incidenza economica è cruciale. In oltre 129 comunità territoriali italiane il valore aggiunto della filiera agricola supera i 20 milioni di euro. L’agricoltura non è solo sopravvivenza, ma una leva di identità e presidio ambientale.
In Alta Langa, il recupero di terreni abbandonati e la trasformazione agroalimentare hanno portato valore e occupazione. Nelle Valli Mongia e Cevetta, i prodotti tipici come castagne, lavanda, piccoli frutti e miele alimentano una microeconomia in rete con turismo ed eventi culturali.
Il tasso di occupazione, nelle nostre aree montane, è di poco inferiore alla media nazionale del 45%. Quello di disoccupazione è invece più basso della media nazionale, sia per quanto riguarda quello maschile che quello femminile.
È però il turismo a rappresentare la punta di diamante dell’economia delle terre alte. Secondo il Rapporto, la montagna italiana dispone di 19,3 posti letto ogni 100 abitanti, più del doppio rispetto alla media nazionale (9,3). Nella Val Maira, dove il turismo ha già raggiunto 100.000 presenze annue e dove l’80% dei visitatori arriva dall’estero, il modello è chiaro: ospitalità diffusa, lentezza, escursionismo, silenzio. E funziona.
Ma anche altre aree seguono questa traiettoria. Nell’Alta Langa, la fusione tra cultura contadina, cammini, produzioni tipiche e festival enogastronomici ha creato un ecosistema turistico a bassa densità e alta qualità. I borghi come Murazzano o Paroldo non sono più visti come isolati, ma come destinazioni.
La Val Tanaro punta oggi sul turismo verde e i posti letto sono 38,1 ogni 100 abitanti: ciclovie, sentieri attrezzati, valorizzazione dei boschi, con Ormea e Garessio che sperimentano forme di turismo legato alla natura. Qui, dove il paesaggio incontra la rigenerazione urbana, crescono anche i B&B a gestione familiare, le attività di trekking assistito, le guide ambientali.
La vera sfida, come evidenziato da Fabio Renzi di Symbola, è però quella della gestione congiunta dell’offerta turistica: superare il campanilismo, connettere i percorsi, aggregare le stagionalità, creare reti. Perché la montagna non sia solo accogliente, ma anche competitiva.
I dati sul PIL, chiaramente evidenziano uno scostamento rispetto alla media nazionale: in Valle Tanaro e in Alta Langa, il PIL pro-capite non arriva ai 21 mila euro (rispetto ai 27.400 della media nazionale), nel Cebano siamo sui 15.500 euro, nelle Valli del Monregalese sui 17 mila.
Queste aree non sono poli industriali, ma sono centri di innovazione silenziosa, dove il valore si crea nella qualità e nella sostenibilità. L’economia qui non cresce per moltiplicazione quantitativa, ma per rigenerazione qualitativa: si valorizzano i boschi, il prodotto agricolo, si ospita con autenticità, si investe nel rinnovabile e nei servizi di comunità.
E poi c’è un’altra ricchezza, spesso invisibile nei conti del PIL: il valore sociale e ambientale. Quello delle foreste gestite, dei pascoli vivi, dei paesi curati. Lo ha sottolineato anche Colombero durante la presentazione a Canosio:
«Il PIL è un indicatore, ma non misura la tenacia delle imprese artigiane, il coraggio dei giovani che tornano, l’energia delle comunità che resistono. Serve un’economia che valorizzi il capitale umano e naturale».
E in questo, la montagna – con tutti i suoi limiti – è già più avanti di quanto sembri.
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