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25 Dicembre 2025 - 10:32
Foto SIR/Marco Calvarese
Cosa succederebbe se, per 24 ore, tutti i volontari della rete solidale sparissero? Niente mense, niente Empori, dormitori chiusi, unità di strada ferme. Uno schiocco di dita e la macchina che sostiene il Natale dei più fragili si interrompe. La rete che regge migliaia di persone senza risorse economiche e sociali, azzerata in un giorno. I volontari Caritas in Italia sono circa 90.000, con un valore economico stimato in oltre 150 milioni di euro annui.
Ogni giorno coordinano mense, distribuiscono cibo e vestiario, assistono anziani soli, gestiscono dormitori e unità di strada, portano aiuto nelle periferie dimenticate. Il loro lavoro non è retribuito, ma ha un impatto concreto misurabile, tangibile e fondamentale.
Se sparissero, le conseguenze sarebbero immediate: centinaia di persone dormirebbero all’aperto senza riparo, migliaia rimarrebbero senza pasto, nessuno distribuirebbe medicine o coperte, e i Comuni non potrebbero sostituire questa forza lavoro nemmeno volendo. Il collasso della rete di assistenza sarebbe rapido, evidente e misurabile, dimostrando quanto sia fondamentale la componente umana nella gestione della fragilità. Questo scenario ipotetico, per quanto drammatico, ci ricorda una verità semplice: l’Italia regge grazie a chi lavora gratis. È una forma di infrastruttura invisibile, indispensabile, quotidiana. E non è retorica:
senza volontari, molti cittadini rimarrebbero senza aiuto, e l’apparente sicurezza del Paese crollerebbe in poche ore.
Nel periodo natalizio, tutto questo diventa ancora più evidente. Non sono luci, regali o panettoni a fare la differenza: sono le persone che scelgono di dare il loro tempo, la loro attenzione e la loro fatica a chi altrimenti sarebbe solo. Senza di loro, il Natale perde gran parte del suo significato: non perché manchino i doni, ma perché sparisce la rete che garantisce dignità, calore e sicurezza a chi ha più bisogno. Potremmo tirare le somme di questo Natale distopico, allargando l’ipotesi ad un panorama più ampio: la chiusura generale dei servizi per mancanza di risorse economiche e umane. Nel breve periodo significherebbe il crollo dei servizi essenziali — mense, dormitori, empori — con centinaia di posti pasto e posti letto che svanirebbero in pochi giorni. Seguirebbe un aumento immediato delle emergenze sanitarie, con più accessi ai pronto soccorso, e una rapida saturazione dei servizi sociali comunali, travolti da richieste oltre ogni capacità. Nel giro di mesi, lo Stato sarebbe costretto a sostituire le attività oggi garantite dal Terzo settore, affrontando costi molto più elevati per personale, logistica e strutture con un aumento della spesa pubblica diretta. Intanto, senza quel lavoro di ascolto e accompagnamento si avrebbe una riduzione della capacità preventiva, aumenterebbero sfratti, micro–reati legati alla sopravvivenza ed esclusione sociale. Su un orizzonte di anni, crescerebbero marginalità e povertà cronica, aggravando i percorsi di inclusione lavorativa e sanitaria. L’effetto domino colpirebbe la spesa pubblica — più emergenze da gestire, meno entrate fiscali, più costi abitativi e sanitari — intaccando non solo il bilancio dello Stato ma la coesione stessa delle comunità.
Questa conclusione chiude il cerchio del nostro “Natale distopico”: la rete delle Caritas e degli enti benefici non è un semplice ornamento solidale, ma un’infrastruttura sociale che sostiene, previene e alleggerisce.
Immaginare un mondo senza di essa significa immaginare un Paese più fragile, più solo e irrimediabilmente più ingiusto.
DI MARCO CALVARESE / AGENSIR
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