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30 Agosto 2025 - 14:28
Ogni bottega che chiude, ogni attività che decide di fermarsi non è mai una buona notizia, specie in un terreno complesso come quello della montagna.
La notizia della chiusura di “A veja posta”, negozio di alimentari di San Bartolomeo a Chiusa di Pesio, porta con sé l’ulteriore dispiacere del veder interrompersi una storia che era anche un bellissimo segnale di speranza per il futuro.
“A veja posta” infatti nasceva dall’impulso della giovane Ottavia Biarese, chiusana di origine e da sempre innamorata del suo paese. Dopo la laurea in letteratura all’università di Torino decide di aprire il negozio, peraltro in quello che può essere considerato uno dei periodi peggiori degli ultimi anni. L’insegna apre i battenti a novembre del 2020, nel pieno dell’incertezza e della paura della pandemia.
“A veja posta” ha saputo diventare in questi anni un presidio importante, di fronte alla Parrocchiale della borgata. Un servizio per gli abitanti, che potevano trovare il necessario per la quotidianità, ma anche un punto di riferimento per i turisti e i visitatori, che potevano contare su una vetrina di eccellenze del territorio, prodotti tipici della zona, accuratamente selezionati. Oggi “A veja posta” è costretto a fermarsi, ma non certo per mancanza di ossigeno.
Ottavia ha dovuto fermarsi per motivazioni personali e per il troppo lavoro a cui si trova a far fronte e a cui non è più in grado di tenere dietro. Spera però che il lavoro di questi anni non vada perduto, che un altro imprenditore, magari innamorato della montagna e della bellezza della valle, scelga di credere nel territorio e rilevarlo.
«C’è spazio per andare avanti – assicura – e io sono disponibile a lasciare anche quello che ho costruito in questi anni, la lista dei fornitori, affiancare una ripartenza».
Cosa hanno rappresentato per te questi cinque anni alla guida della bottega?
«Sono stati anni molto belli. Ho senz’altro imparato tanto e esco arricchita da questa esperienza. Sono partita nel periodo del Covid, che però alla fine si è rivelato un handicap meno pesante del previsto, forse anche per la particolare situazione del territorio».
Perché avevi scelto, dopo la laurea, di aprire un negozio di paese?
«Perché amo il posto dove vivo, mi piace la montagna e mi piaceva l’idea di fare qualcosa a casa mia, nei miei posti. L’idea del negozio non saltava fuori dal nulla: già durante i miei studi, per fare qualche soldo, lavoravo in un negozio di alimentari. Ho imparato un po’ il mestiere e ho capito che quel tipo di vita poteva fare per me. Mi piace lavorare a contatto con la gente e, a dispetto dei miei studi, mi sento un tipo portato al lavoro concreto, manuale, pratico. Ho contraddetto un po’ la vecchia scuola secondo cui uno dovrebbe fare il lavoro per cui ha studiato. La scuola è comunque un’esperienza che ti arricchisce e ti migliora a livello umano, io penso che comunque, qualunque cosa si vada a fare dopo, l’importante è che renda felici, al di là che sia coerente con il percorso di studi o meno».
Cosa vedi per il tuo futuro? Un ruolo simile in un contesto più alla tua portata o vorresti cambiare del tutto orizzonti?
«Per ora non lo so, non ho ancora deciso nulla. A prescindere da quello che si dice e si pensa, un negozio come questo è un investimento totale, una scelta di vita. Ci sono tantissimi aspetti e ricadono tutti sotto la tua responsabilità, anche perché io ero sola a gestire, senza alcun dipendente. Così si dedica tanto tempo, si porta il lavoro a casa, si deve continuamente tenere a mente ogni aspetto. Non so cosa farò in futuro, ma spero che comunque la “Veja posta” trovi un nuovo gestore, perché è una bella realtà che è cresciuta e che sento un po’ figlia mia. Non mi faccio grosse illusioni: il lavoro è sicuramente impegnativo, non ha orari ed anzi ha picchi stagionali importanti. Però c’è spazio per fare».
Dopo cinque anni dietro al bancone qual è il tuo punto di vista sul turismo e sull’economia della valle?
«Ho sempre avuto idea che bisogna puntare a un turismo di qualità, più che puntare ai grandi numeri tout court. Bisogna attirare un tipo di pubblico che sia interessato a vivere la valle, la natura, la cultura, i prodotti tipici. Non serve semplicemente riempire i parcheggi, anche perché molti turisti arrivano qui con il pranzo acquistato nei supermercati in città, non entrano nei negozi, non lasciano nulla se non l’inquinamento. D’estate di gente ce n’è davvero molta fortunatamente. Il modello della montagna “di massa”, dove di cerca di portare migliaia di persone e si cerca di "portare la città in montagna" credo che appartenga al passato. Se devo immaginare un futuro per la Valle Pesio, spero che sappia essere un laboratorio di questo tipo di turismo: è un luogo che molti devono ancora scoprire, fuori dai circuiti turistici di massa. L’attrattiva principale è la natura, è già tutto qui. Poi si possono aggiungere strutture, servizi, ma la gente viene per questo. Oggi c’è anche tanto turismo “Instagram” di chi vede un reel sulle cascate, arriva per scattare la foto e magari si inerpica sul sentiero con le sneakers. C’è tanta improvvisazione, e infatti si riflette sulle notizie che riportano la quantità di interventi di soccorso in montagna».
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