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08 Settembre 2025 - 10:01
La festa della Natività di Maria dell’8 settembre è stata inaugurata dalla tradizionale processione guidata dal vescovo, partita da Mondovì Piazza, alle presenza delle autorità civili del territorio, a cominciare dal sindaco di Mondovì Luca Robaldo. Il corteo ha raggiunto Fiamenga dove è stato accolto dalla delegazione vicese, con in testa il sindaco Gian Pietro Gasco, insieme alle rappresentanze di altre Amministrazioni comunali del territorio che si è unito al Cammino votivo, che ha poi raggiunto la Basilica.
La Messa solenne dell' otto settembre come da tradizione ha visto intervenire le autorità civili e militari del territorio, oltre al tessuto associazionistico e alle comunità della Diocesi. Tra questi anche il Prefetto e il Questore di Cuneo e i presidenti delle Province di Cuneo e Savona, presenti per celebrare la Regina del Monte Regale. Dalla riflessione sul Giubileo della Speranza in corso è partito Mons. Miragoli per la sua omelia, parlando del Giubileo come un evento non astratto, ma che si traduca in azioni concrete nella vita cristiana, come la raccolta fondi in favore delle popolazioni di Gaza che, ha annunciato Mons. Miragoli, a fine ottobre consegnerà personalmente al patriarca Pizzaballa. Inoltre, ha parlato del Credo come simbolo della Fede, tirando le somme del percorso della Novena, della Speranza e infine ha concluso con la Madonna, «Premessa sottesa a qualunque discorso sulla salvezza».
Il Giubileo è per ciascuno di noi
Vorrei muovere da una provocazione, circa i fatti della nostra fede, che, come sappiamo, è fede in un Dio che si è incarnato. Due citazioni lasceranno intendere su che cosa voglio attirare la vostra attenzione. La prima arriva dal secolo III, quando Origene di Alessandria scriveva: “A che ti serve, infatti, che il Cristo sia venuto un tempo nella carne, se non è venuto anche nella tua carne? Preghiamo che la sua venuta sia per noi quotidiana e che possiamo dire [con San Paolo]: – Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20)” (In Luc. hom. 22,3).
Le fa eco la seconda, che appartiene al secolo XVII e al mistico tedesco Angelus Silesius: “Mille volte nascesse Cristo a Betlemme, / ma non in te, sei perduto in eterno!” (Il Pellegrino cherubico I,61).
Credo che il concetto sia chiaro: i fatti della nostra fede, così concreti, o accadono anche in noi o è come non accadessero.
Qualcosa di simile possiamo dire per il Giubileo. Un anno giubilare offre tante occasioni perché noi lo viviamo, milioni di persone si sono mosse da ogni parte del mondo alla volta di Roma. Ma, ci chiederebbero Origene e Silesius, noi abbiamo vissuto il Giubileo? Lo stiamo vivendo? Almeno una volta abbiamo creato le condizioni richieste così da poter attingere alla Grazia, alla indulgenza del Giubileo?
Oppure ce lo siamo lasciati scivolare accanto, come succede per tanti grandi eventi di cui sentiamo parlare dai media ma che ci vedono unicamente spettatori lontani?
In questa significativa circostanza nella quale la devozione a Maria è ancora capace di toccarci il cuore, riprendiamo ancora una volta l'ABC del Giubileo, così da poterlo cogliere e vivere nel suo autentico significato.
Radici bibliche del Giubileo
Come noto, l’origine biblica del Giubileo risale al capitolo 25 del libro del Levitico e al suono del corno di montone (in ebraico jòbel) che annunciava l'inizio di un anno particolare, di un tempo sacro. Ma è l'antica versione greca della Bibbia (detta tradizionalmente dei Settanta) che ci dà il vero senso spirituale della parola. L’ebraico jobel, anziché tradurlo col ricalco “giubileo”, i Settanta lo rendono con un termine greco (áphesis) che significa "remissione", "liberazione" o anche "perdono". Come capite, si tratta di termini estremamente concreti, che esprimono dei “fatti” della nostra fede. I quali, di nuovo, o accadono davvero, fra Dio e noi e fra noi e gli altri; o hanno conseguenze esistenziali, oppure a ben poco serve che vengano enunciati, anche a livello planetario.
Ogni cinquant’anni ricorreva l'anno del riposo della terra, del condono dei debiti e della restituzione delle terre, l'anno della liberazione degli schiavi. Questo era il Giubileo: evento fattuale, non solo parola, ma parola e azione; non solo culto o ritualità ma esperienza etico-sociale che doveva incidere profondamente nell’esistenza di un popolo.
Gesù, all’inizio della sua missione nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,18-19) si presenterà come inviato dal Padre per inaugurare un Giubileo perfetto “l’anno di grazia del Signore”, cioè della sua salvezza, che comprende quattro gesti fondamentali, antichi e nuovi ad un tempo: evangelizzare i poveri (gli ultimi), dare libertà agli oppressi e la vista ai ciechi (in senso stretto e metaforico), offrire liberazione dai mali che opprimono il corpo e lo spirito. Questa la sua missione, che i discepoli avrebbero dovuto continuare in spirito e verità e che la Chiesa ha riproposto con accentuazioni diverse anche negli anni giubilari.
Costanti e novità
Il 1300 fu l’anno del primo Giubileo cristiano. Da allora a oggi, possiamo cogliere costanti e novità. Impossibile qui fare sintesi.
Certamente, sul piano pratico, un elemento nuovo degli ultimi Giubilei è la possibilità anche per chi non può recarsi a Roma, ad limina apostolorum, cioè sulla tomba degli Apostoli, di "fare Giubileo", di ottenere l'indulgenza, pur stando nei propri luoghi di vita. È quello che vogliamo fare anche noi, usufruendo di questa possibilità. In ogni caso andranno salvaguardate le condizioni essenziali
Anzitutto, la dimensione del pellegrinaggio, anche simbolico (metafora di un cammino interiore, ma che esprime nella realtà la volontà di fare Giubileo); poi, la professione di fede (con la recita del Credo), la confessione e la comunione (riconoscimento del peccato e richiesta di perdono, ritorno all’incontro con Cristo nel pane suo corpo e nel vino suo sangue); infine, la preghiera per il Papa, segno di ritrovata o rinnovata comunione con la Chiesa.
E tuttavia non possiamo ridurre il Giubileo a sola celebrazione o ritualità; al contrario, occorre da lì partire, lì attingere la motivazione, per tradurlo in gesti concreti di solidarietà capaci di restituire dignità, sollievo, libertà, misericordia a chi ne ha bisogno, secondo lo spirito originario del Giubileo stesso. È quello che abbiamo inteso fare in questi giorni, e ancora oggi, con la proposta di una colletta per le popolazioni di Gaza, il cui ricavato, a Dio piacendo, consegnerò personalmente, a fine ottobre, a Gerusalemme, al Patriarca Pizzaballa.
Tra questi adempimenti merita una parola la Professione di fede, la recita del Credo, il "simbolo" di fede.
È un atto che compiamo ogni domenica, se andiamo a Messa, ma non sempre ne cogliamo la ricchezza del contenuto e il significato complessivo.
Per questo ne abbiamo fatto oggetto di riflessione durante i giorni della Novena.
Credo: Simbolo della fede
Il Credo costituisce l'espressione dell'essenza della fede cristiana. Non ha la pretesa della completezza, ma raccoglie i punti centrali della Scrittura e si propone come "regola" e "norma" della fede della Chiesa. Una sorta di compendio, di riassunto di ciò che è essenziale per dirsi cristiani. La formula che ripetiamo nella liturgia domenicale è detta "Credo niceno-constantinopolitano”, in quanto la base risale al Concilio di Nicea (325 – quest'anno ricorrono i 1700 anni) approfondita da quello di Costantinopoli del 381. È riconosciuto come l'espressione genuina della fede che accomuna, sin dall'antichità, tutte le comunità cristiane. Ma proprio il verbo “credere”, scandito all’inizio di ogni sezione del testo, ci richiama al valore profondo di questa straordinaria preghiera.
Il senso della professione di fede non è tanto un elenco di verità di fede da "ritenere per vero". La dimensione intellettuale si integra in una più profonda. Dire “io credo” significa "mi abbandono a", è un movimento dell'intera esistenza. “La fede non termina agli enunciati, ma alla realtà”, come dice S. Tommaso. La rivelazione cristiana non si riduce a dottrina, ma è una persona, Gesù Cristo, è un evento, un fatto. E a tutto ciò, che è una rivelazione di amore, si risponde solo con l'amore.
Indulgenza: benevolenza di Dio
La realtà del Giubileo e la peculiarità di questo Giubileo ci consegnano poi due parole su cui riflettere. La prima è “indulgenza”, la seconda è “speranza”.
Indulgenza indica “una benevola disposizione d’animo” che porta a perdonare, ma per la Chiesa cattolica esprime un dono straordinario: “la remissione di tutte le pene temporali per i propri peccati, per sé o come suffragio per qualche defunto”. Si tratta di una secolare proposta spirituale tipica del Giubileo (e di qualche occasione straordinaria, come del resto siamo soliti fare mediante la benedizione papale con annessa indulgenza che ogni vescovo può impartire tre volte l’anno).
Il tema è indubbiamente delicato, sul quale non sono mancati eccessi e abusi, incomprensioni storiche, che hanno inciso negativamente sulla stessa comunione tra i cristiani.
Eppure neanche l’attenzione al prosieguo del dialogo ecumenico ha impedito alla Chiesa di riproporre con forza la dottrina sulle indulgenze.
Il Giubileo ci permette, dunque, di essere oggetto dell’indulgenza di Dio, del suo perdono concreto, della cancellazione dei nostri peccati e delle pene. In questo senso, “c’è una risposta al nostro domandare. Non siamo dimenticati. Un amore indistruttibile ci attende e ci dischiude futuro. Solo a partire da questa realtà, che ci chiama, può anche svilupparsi la risposta dell’uomo”. Così scrisse, da Cardinale, Joseph Ratzinger. E aggiunse: "L’indulgenza rappresenta, per l’uomo peccatore e graziato, un invito ad approfondire il suo rapporto con Dio. Oggi è soprattutto un invito alla preghiera, ai sacramenti e alla comune testimonianza della fede, ad esempio nella forma di un pellegrinaggio. L’elemento più importante del superamento interiore della colpa (…) è, nella sua forma attuale, l’approfondimento e la vivificazione del rapporto con Dio”.
Con la mediazione della Chiesa
Questa particolare “benevolenza”, aggiungerei, non è un automatismo vuoto, un’assoluzione magica, che ci piove letteralmente da cielo. È, invece “un «supplemento di misericordia» del Padre di ogni bontà, ricevuto attraverso la mediazione della Chiesa”, cioè qualcosa che attiva un circolo virtuoso, che cambia le nostre vite. “Infatti, poiché abbiamo ricevuto misericordia, diventiamo misericordiosi, e la carità da noi ricevuta si effonde nei nostri cuori, rendendoli partecipi della vita stessa di Dio”. Per questa via, si giunge a una consapevolezza che il futuro Benedetto XVI enucleava con la sua consueta chiarezza: “Gli uomini possono riconoscere che fra loro non c’è solo solidarietà del peccato, ma anche solidarietà della grazia. (...) Nel mondo non c’è solo una riserva di male, ma anche un sovrappiù di bene”.
Averne consapevolezza, in questi tempi bui, può essere un dono ulteriore del Giubileo, cui si lega la seconda parola, quella dettata da questo Giubileo particolare, per volontà di Papa Francesco: la parola “speranza”
Speranza, antidoto alla disperazione
Il motto di questo Giubileo, ormai lo sappiamo, è "pellegrini di speranza”.
Speranza: parola oggi in grande crisi, si direbbe. Perché segni di speranza la cronaca di questi anni ne offre pochi, tra congiuntura economica che assottiglia le nostre disponibilità di spesa pubblica e privata, fatti di violenza efferata o diffusa, perfino nelle famiglie, guerre assurde e atroci che mai più avremmo immaginato possibili, come quella che si sta consumando a Gaza, o in Ucraina (senza dimenticare la Siria, il Myanmar, lo Yemen, il Congo e Haiti...) sotto gli occhi di politici e diplomatici impotenti o indifferenti, e lo sguardo distratto della gente comune.
Eppure, basta ragionare in termini linguistici per comprendere l’importanza del concetto di “speranza”, non a caso è virtù teologale secondo la teologia cattolica. Chi vede nella “speranza” una sorta di soporifera illusione diffusa dalla religione, dovrebbe riflettere su questo: se perdiamo la speranza, rischiamo il suo contrario, ovvero la disperazione. E non è vero che la speranza porta al disimpegno, quasi che sperare fosse un modo per non agire. Al contrario, solo chi autenticamente spera è mosso a operare, solo chi confida di poter cambiare la Storia dentro la Storia accetta di spendersi.
Se, poi, ci si chiedesse conto del fondamento della nostra speranza, quasi che essa fosse un inconsistente e superficiale atto di fiducia in non si sa bene cosa, noi cristiani, noi che ci facciamo pellegrini di speranza, risponderemmo che la nostra speranza è Cristo stesso. Il Dio incarnato, colui che ci redime, il Risorto.
E se la Bolla di indizione del Giubileo esorta ciascuno di noi, le comunità e le istituzioni, ad essere "segno di speranza” nel contesto attuale, noi, credendo in Cristo Signore della Storia, non arretreremo neppure di fronte alle brutture del nostro tempo, testimoni di una fede che va oltre il “qui e ora” e sfida da due millenni il passare spesso sanguinoso e travagliato dei secoli.
Maria SS.ma ci prenda per mano
Carissimi, se nella festa della Natività di Maria abbiamo parlato del Giubileo, questo non significa che abbiamo "dimenticato" la Madonna, come qualcuno potrebbe pensare.
La tenera madre, “figlia del suo Figlio”, secondo la geniale dicitura dantesca, è infatti premessa sottesa a qualsiasi discorso sulla salvezza e sulla vicenda cristiana. L’orazione finale dirà, infatti, che la Natività di Maria costituisce “speranza e aurora di salvezza per il mondo intero”.
Siamo partiti dall’incarnazione: e chi, se non Maria, ne fu il tempio? Chi la rese possibile? Chi se non la ragazzina di Nazareth ebbe il coraggio e la generosità di accogliere l’intenzione di Dio, che avrebbe potuto atterrirla, farle tremare i polsi, indurla a sottrarsi?
Non è certo un caso, se questo Santuario è "chiesa giubilare", luogo dove poter vivere il Giubileo: sotto lo sguardo di Maria, infatti, tutto diventa più facile. Lei maternamente ci accompagna e ci assiste.
A lei ci affidiamo, a lei, se ve ne fosse bisogno, chiediamo la grazia di aiutarci a fare il primo passo, o comunque il passo che ci manca per trasformare quest’ anno in un autentico anno di grazia; il Giubileo della Chiesa cattolica nel Giubileo dei nostri cuori e delle nostre vite rinnovate.
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