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L'attivista israeliano: «Questo è un nuovo Olocausto, va fermato subito»

La testimonianza degli attivisti Guy e Martina alla Festa del Partito Democratico di Mondovì

L'attivista israeliano: «Questo è un nuovo Olocausto: va fermato subito»

I due attivisti alla Festa del PD di Mondovì

Martina è delle parti di Mondovì, vive vicino a Bologna e fa parte dell'«Operazione Colomba» della comunità “Papa Giovanni XXIII”. Guy, israeliano, è impegnato nel movimento non-violento “Ta'ayush”: chiedono al pubblico di non fotografare e pubblicare i loro volti, perché tornando nei territori occupati da Israele potrebbero avere ripercussioni. Sono attivisti che passano periodi della loro vita tra i palestinesi della zona a sud di Hebron, in Cisgiordania, per testimoniare e documentare le vessazioni che le popolazioni locali sono costrette a subire dai coloni israeliani. È sabato 20 settembre e sono ospiti alla Festa del Partito Democratico a Mondovì.

Immagini shock delle violenze dei coloni

Guy spiega brevemente la situazione: i territori assegnati dall'ONU ai palestinesi vengono gradualmente occupati da coloni israeliani che, con metodi violenti, scacciano i legittimi abitanti. La popolazione locale ha scelto la non-violenza come forma di resistenza e attivisti da varie parti del mondo vivono con loro. Spesso è la presenza stessa degli attivisti, testimoni scomodi, a impedire crimini peggiori di quelli che comunque vengono documentati.

E sul pannello scorrono le immagini dei video realizzati da Guy, da Martina e dai loro compagni: ragazzini israeliani, poco più che bambini, con modi e facce da bulli che spintonano, minacciano e bastonano adulti. Coloni che arrivano in un villaggio agitando bastoni e aprono i rubinetti di un serbatoio dei contadini, spargendo a terra l'acqua così preziosa in quelle zone aride e non servite da acquedotti. Un colono arriva con le sue pecore in un terreno altrui, si mette una divisa dell'esercito, dichiara quel campo “zona militare chiusa” e si mette a far pascolare il suo gregge.

La raccolta delle olive è molto difficile: arrivano i coloni e i soldati, un colono bastona un'attivista intenta a raccogliere le olive rompendole alcune costole, lei va all'ospedale, gli altri vengono arrestati per alcune ore dai soldati. In un video il ministro Smotrich dona ai coloni dei mezzi 4x4 dicendo che la zona è sempre più libera da serpenti e scorpioni (alludendo ai palestinesi). Nei filmati successivi si vedono i coloni che sgommano con i mezzi sui campi d'orzo dei palestinesi e che puntano contro un gregge di pecore disperdendolo suonando il clacson.

Case abbattute con i bulldozer, bastonate, morte e speranza

Quando i coloni arrivano mascherati c'è da aver paura: hanno intenzioni ancora peggiori. Scorrono immagini di attivisti e palestinesi picchiati e feriti. Arrivano i bulldozer e abbattono le case dei palestinesi, che escono appena in tempo. Alì, 86 anni, seduto su una sedia perché fa fatica a camminare, guarda le ruspe che abbattono la casa in cui è nato e cresciuto. Lui, i suoi familiari e vicini vengono ospitati in tende fornite da un'organizzazione umanitaria, che però il giorno dopo vengono confiscate dall'esercito israeliano.

I documenti mostrano un crescendo di violenze e vessazioni, qualcuno in sala dice: «Perché non le fanno vedere al telegiornale?». «E dopo il 7 ottobre 2023 le cose sono ancora peggiorate», spiega Guy. Sullo schermo si vede una famiglia riunita in casa insieme agli attivisti. Da fuori si sentono urla in arabo, ma la porta resta sbarrata, perché le urla hanno accento israeliano. Dalle finestre entra spray al peperoncino, fuori l'auto degli attivisti brucia. In un'altra casa gli attivisti sono arrivati tardi e i coloni sono entrati: c'è anche il vecchio Alì. Tutti sono stati bastonati: la moglie di Alì ha il volto coperto di sangue. Alì, steso su una barella, urla di dolore mentre gli si portano le prime cure. Guy legge i nomi delle persone coinvolte e le loro ferite: sono parecchie e tutte hanno fratture, alcuni emorragie interne. Tra i feriti anche bambini.

Uno dei filmati mostra Awdah, un attivista palestinese, compagno di Guy e Martina, prima di essere ucciso dal colpo di pistola di un colono. Awdah, 31 anni, era insegnante d'inglese e padre di bambini ancora piccoli. Nel video dice che per vivere ancora in questi luoghi bisogna essere pieni di speranza. Infatti Martina racconta che quando le famiglie sono perseguitate e colpite da arresti, dopo si ritrovano a mangiare insieme.


Documentazione video delle violenze in Cisgiordania su Bet 'selem


«Un nuovo Olocausto»

Le numerose domande del pubblico danno modo a Guy e Martina di approfondire e raccontare ancora.

Perché Guy, israeliano, fa l'attivista in difesa dei palestinesi? «A differenza di molti israeliani, grazie a mio padre, ho conosciuto personalmente palestinesi, li ho frequentati, sono stato loro amico. Ai tempi della prima Intifada, 1987, avevo 15 anni e ho visto cose terribili. Allora mi sono documentato, sono andato in biblioteca, ho scoperto la vera storia di questa terra, ho scoperto di vivere in una grande bugia. Ho partecipato a proteste e poi ho conosciuto il movimento non-violento Ta'ayush, che promuove la cooperazione e la parità tra israeliani e palestinesi attraverso azioni dirette e solidali contro l'occupazione israeliana e la segregazione: è stato un biglietto di sola andata. Mio nonno è stato l'unico superstite di una famiglia di ebrei polacchi sterminata durante l'Olocausto, che ha anche partecipato alla Resistenza. Da lui ho imparato la lezione dell'Olocausto ed ora non voglio essere parte di questo nuovo Olocausto fatto da Israele contro i palestinesi».

Alcune domande riguardano l'atteggiamento della società israeliana, dei militari, degli ebrei osservanti e di quelli sparsi per il mondo, circa le azioni dello Stato d'Israele. «Le proteste in Israele non sono contro l'occupazione o contro ciò che accade a Gaza: riguardano gli ostaggi e questioni interne. Il 90% del parlamento (e quindi dei cittadini) non mette seriamente in discussione le politiche che vengono attuate, non c'è una vera opposizione. I militari eseguono ordini e chi si rifiuta ha conseguenze e processi: ma sono comunque responsabili delle loro azioni. Tra i religiosi c'è una piccola minoranza contraria al sionismo, ovvero all'esistenza di uno Stato ebraico. La maggioranza dei religiosi, pur con posizioni diverse, è sionista. Tra gli ebrei che vivono all'estero ci sono posizioni molto diverse: da persone contrarie all'esistenza di Israele ad altre che ritrovano in Israele la loro identità, fino a chi in nome della sicurezza giustifica tutto ed è per la totale impunità».

«La società civile scenda in piazza e pretenda che si fermi l'Olocausto»

Nella società civile che nel mondo chiede giustizia per i palestinesi ci sono anche posizioni estreme che giustificano la violenza. Vogliamo fare qualcosa, ma è difficile capire in che modo. Lo chiediamo a voi che praticate la non-violenza: quando manifestiamo, cosa dobbiamo chiedere? «Dovete pretendere che si fermi l'Olocausto e il ritiro dai territori occupati. Non necessariamente bisogna avere tutti la stessa idea, non è ancora il momento di costruire, di trovare soluzioni. Non fare nulla perché non si vede una soluzione chiara, adesso è da ipocriti». Martina cita Giuseppe Dossetti: «Non c'è pace senza giustizia».

Infine Martina e Guy invitano all'azione: fatevi sentire, mobilitatevi, fermate il genocidio, boicottate Israele. «Alcuni di voi ricordano il '68 e ricordano che scendere in piazza può cambiare le cose» dice Martina. E Guy chiude l'incontro con un'invocazione: «Don't be silent».

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