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21 Novembre 2025 - 15:15
"Il mio regno per uno spettatore intelligente"
Respingente, sulfureo, arrogante: il personaggio che Francesco Montanari si trova a maneggiare in "Storia di un cinghiale - Qualcosa su Riccardo III" è tutt'altro che semplice, così come del resto l'intero monologo di Gabriel Calderon. Un'ora e un quarto di testo serratissimo, complesso, talvolta in rima talvolta no, con repentini cambi di ritmo e di tono.
Il tutto su un palco da reggere interamente da solo, con uno spettacolo tutto sulle proprie spalle e su di una curiosa "macchina" teatrale, che l'attore ha alle spalle e con cui gioca, tra sipari e attrezzistica varia. Il pezzo è un banco di prova per l'interprete ma anche un colossale atto d'amore nei confronti del teatro e soprattutto di chi lo fa, un omaggio all'arte della recitazione vissuta in maniera corsara, ambiziosa, al di là di ogni intellettualismo.
Così Francesco, nome anche del protagonista della pièce, è un attore frustrato, che si sente sottovalutato all'interno della propria compagnia. Detesta e sparla dei colleghi, del regista e la sua bruciante ambizione lo porta a deteriorare i rapporti con tutti, alle prese con la messa in scena di Riccardo III. La scrittura di Calderon è funambolica, anche nel modo di trattare la materia teatrale. Il personaggio sviscera i suoi pensieri, ma racconta anche l'opera di Shakespeare (idealmente tutto lo spettacolo si divide nei quattro atti del lavoro del bardo) e allo stesso tempo la progressione delle prove, tra liti e cattivi rapporti.
Ecco allora che appare evidente, mano a mano che la trama si dipana, il parallelismo tra il re tradito e l'antieroe di questa rappresentazione, che vuole anche fare emergere, con tocco ironico, le difficoltà del teatro contemporaneo. È interessante inoltre notare come Calderon giochi con gli stereotipi del teatro elisabettiano (per certi versi considerato uno degli esempi "classici") e allo stesso tempo con la "letterarietà" del testo, che in molti casi viene utilizzato come consapevole espediente per mettere in difficoltà il pubblico, con calibrato effetto scenico. Come nella "carrettella" che ha aperto lo spettacolo, in cui Montanari ha inanellato un testo a ritmo vertiginoso, difficilissimo da seguire. In qualche modo, Riccardo III è un inno alla pulsione verso la recitazione, al di là di ogni sovrastruttura, per ripetere una tradizione vecchia come l'uomo che riprende vita ogni volta che c'è una persona disposta a inscenare una storia e anche solo uno spettatore pronto a starlo a sentire. Montanari mette a fuoco uno spettacolo calibrato nei minimi dettagli, in ogni gesto, in ogni spostamento sul palcoscenico, riuscendo a reggere tutto sulle proprie spalle. Sicuramente una prova di straordinaria maturità per l'interprete salutato, al termine, da tanti applausi e diverse chiamate alla ribalta.
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