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3 Pensieri per un Disco

Tornano le classiFICHE, le classifiche fiche di CULTURECLUB51, con una novità: sintetizzare con tre pensieri il disco. Il "nostro" Viter LUNA il disco migliore del 2025 è quello di Dijon, seguito a ruota da Rosalìa e GEESE. Miglior debutto è l'irlandese Dove Ellis

Nella valutazione di un disco, ci si concentra molto sulle descrizioni e talvolta si perde il senso delle proporzioni, lasciandosi andare a frasi ridondanti. Per questa edizione delle classiFìCHE di CULTURECLUB51 chi scrive ha pensato di giocare - un po' come ai tempi della carta - con la questione delle spazio e provato a sintetizarre il commento relativo a band e disco. Da questo è nata l'idea di "3 pensieri per un Disco", tanto più che siamo in un periodo natalizio e quindi si potrebbe considerare che i pensieri possano diventare dischi da regalare.

Quindi un'introduzione per cercare di contestualizzare il disco, uno sviluppo con cui argomentare la tesi, e la conclusione finale per chiudere il cerchio: 3 pensieri, appunto, per raccontare un disco. A margine un voto per offrire un "sunto" da parte di chi vi scrive, collocandolo nella propria classifica, dalla più distante a quelle preferite.

Una TOP (da contare i dischi) firmata, dal meno interessante, ai migliori: non è stato un 2025 ricchissimo di ascolti, ma quelli avuti - vuoi forse anche un po' per fortuna - danno un mondo estremamente variegato e ricco, di suoni e generi.

Andiamo ora in Italia e nella "Provincia Sommersa"

DENTE “Santa Tenerezza”

A fine anni zero Giuseppe Peveri sembrava la stella lucente di una generazione di cantautori in cui il nome di Dente svettava tra le diverse realtà regionali che via via andavano affacciandosi sulla scena (dalla Sicilia di Colapesce, risalendo le montagne cosentine di Brunori sas fino ad arrivare alle strade ferraresi de Le Luci della Centrale Elettrica). A distanza di 20 anni qualcuno ha vinto premi della critica a Sanremo, c'è chi ha tirato fuori tormentoni pop memorabili e chi si è messo anche a scrivere libri; di Dente si stanno invece perdendo un po' le tracce. Santa Tenerezza, dopo il disco omonimo e Hotel Souvenir, pare non aiutare la carriera di Peveri a rialzarsi: non c'è più quella grande creatività nella scrittura, e musicalmente i brani hanno perso di mordente. Voto: 5

the ZEN CIRCUS “Il Male”

Quando si aspetta un disco con grande trepidazione, talvolta capita, che si venga un po' delusi o che non corrisponda esattamente alle (più o meno alte) aspettative che si erano create. Ad Appino ed agli Zen Circus non si può chiedere di essere qualcosa di diverso: testi e racconti di storie corrosive spesso fatte su linee melodiche dritte e ritmo incalzante rockandrolleggiante. In questo caso però forse un po' troppo poco per convincere. Voto: 6 

BRUNORI SAS “L'Albero delle Noci”

Il discorso di Dente al contrario: della sua generazione sembrava essere il cantautore destinato a passare per prima nel dimenticatoio, ed invece la sua svolta pop è riuscita ed ancora convince. Brunori è un cantautore oramai consumato e il disco che porta il titolo del brano portato a Sanremo è il perfetto sviluppo di quella che oggi è una voce paterna (non paternalistica) del cantautorato italiano. L'Albero delle Noci è un classico disco di Brunori, ben fatto, che forse – almeno chi scrive – appassiona meno rispetto al passato, ma si sa...ad un buon padre di famiglia si può chiedere tutto tranne quello di deludere i propri figli. Voto 6,5 

TONY PITONY “Tony Pitony”

Un uomo ed un disco omonimo: la scelta forse più stramba e di rottura di tutto il 2025. Se ci si chiede quanto ci sia o quanto ci faccia si sbaglia in partenza: Tony Pitony gioca un altro campionato, quello che va alla ricerca di un pubblico trasversale e di chi si esalta con la corrosione del politicamente scorretto; la musica conta, ma fino ad un certo punto e quindi sul genere ci si può permettere di saltare di palo in frasca. Ai posteri la sentenza se fosse esercizio dettato da una folle e vitale genialità volta alla critica del mondo d'oggi o semplice proposta che occupa uno spazio commerciale, e perciò reazionaria (oltreché scurrile per sport). Voto: 6,5 

CASINO ROYALE “Fumo”

Chi lo avrebbe detto dopo gli anni d'oro della musica indipendente che i Casino Royale sarebbero stati una delle band più longeve e capaci, soprattutto, di proporre musica che non scade nella banalità del genere. Nell'anno in cui la band festeggia i 30 anni del disco di maggior successo (Sempre Più Vicini, uscito anche con una riedizione) è tornata con un disco perfettamente ancorato alla storia ed alla tradizione del gruppo, e assai godibile. A chi crede che il “trip hop” sia genere che non abbia più nulla da dare Alioscia e soci dimostrano esattamente il contrario: nonostante gli anni sulle spalle comincino ad essere tanti, si può avere ancora qualcosa da dire andando a giocare sulla ricchezza del proprio genere, senza perdere mai la curiosità di approfondire le novità che girano attorno compresi i featuring delle nuove leve (in primis Marta Del Grandi). Voto 7 

JOAN THIELE “Joanita”

In Italia si sentiva la mancanza di qualcosa che recuperasse le sonorità “blue” di un certo rock-blues che mette insieme le colonne sonore di certi film di Tarantino e quel mondo ascoltato a cavallo del millennio che andava dai Cousteau (the Last Year of the Night) a Shivaree (Good Night Moon). Joan Thiele ed il brano portato a Sanremo (forse il migliore per costruzione musicale) rientrano in questo umore e ci si guazza. Rispetto a quel mondo di cui prima, seguito prevalentemente da chi ha superato o quasi i 50 anni, Joanita ha il pregio di portare dentro la freschezza di alcuni ascolti più giovanili e di quell'ibridazione a cui ci hanno abituato soprattutto le figure femminili della musica odierna (tanto per citare qualcuno che leggeremo a breve da FKA Twigs a Rosalia). Voto 7 

LA NIñA “Furèsta”

Se in Italia mancavano un po' le sonorità “blue”, non si può dire che capiti altrettanto per il recupero di un certo folk a tinte elettroniche: le esperienze di Iosonouncane prima e Daniela Pes dopo hanno definitivamente consacrato il genere. Furèsta della giovane napoletana Carola Moccia, in arte La Niña, pare seguire il percorso artistico e di successo visto che si è guadagnata con l'album Furèsta la targa Tenco come miglior album in dialetto. Al secondo episodio un colpo che crea grande aspettativa, tanto più che la giovane napoletana, rispetto ai due artisti sardi, pare voler abbracciare una dimensione più internazionale con fortune alterne. Voto 7 

LUCIO CORSI “Volevo essere un duro”

Ha rappresentato la migliore sorpresa del passato festival di Sanremo, per freschezza ed originalità nella proposta. La canzone fa da traino al disco che segue un po' la scelta fatta dall'artista toscano di abbandonare se non del tutto almeno in parte il cantautorato più classico per approdare ad una dimensione più ampia in cui il rock è parte integrante della visione artistica. Il disco ha mordente, ed è ricco delle specificità di Corsi, ne rappresenta a pieno il percorso e il suo essere animale da palco istrionico. Voto: 7,5

NICCOLò FABI “Libertà negli Occhi”

La “fortuna” di chi ha quasi 60 anni, ne dimostra poco più di 40 o per lo meno sembrerebbe che abbia da 15 anni la stessa età, e che giunto “a 'na certa” si possa permettere di fare l'artigiano della musica con strumenti a disposizione non certo di fortuna e con una libertà stilistica a cui si tende a dar credito, sulla fiducia. Niccolò Fabi dà prova di un disco impegnativo per musica (stavolta) più che per temi con un risultato di altissima fattura. Libertà negli Occhi è un disco di cantautorato rock tutt'altro che delicato, con tante aperture di code sonore rumorose e profonde che danno un senso (quasi) di spaesamento se si legge il nome sulla copertina. Voto 7.5

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Suoni dalla Provincia Sommersa

Proviamo a dare ora invece uno sguardo a quella che potremmo definire una “provincia sommersa”, che non è solo luogo appartato, ma anche mondo di nicchia, meno conosciuto e non per questo a cui non merita dare un ascolto. Durante il 2025 si sono potute ascoltare cose assai interessanti in Italia ed alcune di queste vengono raccontate qui.

ALFIO ANTICO + GO DUGONG “Leviti Leviti”

Il mondo dell'elettronica (non così lontano da Populous) di Go Dugong incontra la musica tradizionale di Alfio Antico in un percorso di ricerca agli estremi confini del pop. Se non ci fosse stata la mano di Raffaele Costantino (aka DJ Khalab) e del suo podcast “Clan Acustico” probabilmente, pur conoscendo entrambi gli artisti, non ci sarebbe stata la voglia di approfondire questo ascolto. Leviti Leviti è un disco non fatto per tutti, ma per ascoltatori abituati a registri musicali più ampi; i curiosi però possono tentare un ascolto perchè l'idea dell'incontro tra musica elettronica, folk e cultura popolare e quella che la musica non sia fatta solo di intrattenimento, potrebbero rappresentare comunque delle sorprese. Voto 6,5

POPULOUS “Isla Diferente”

Andrea Mangia da Lecce, meglio conosciuto come Populous o “Poppy” è forse l'antitesi dell'artista “di provincia”; al contrario uno dei più cosmopoliti e più conosciuti all'estero. Il fatto però che Mangia lavori prevalentemente nella musica elettronica (che non va in discoteca) e che finisce ad essere il “sound designer” di noti marchi come Vogue, Gucci o Vivienne Westwood lo costringe ad una posizione un po' più sacrificata e per questo forse meno frequentata dall'ascolto definibile “main stream”. Veniamo al suo ultimo Isla Diferente: un lavoro forse minore rispetto ai più riusciti Stasi e Azulejos, in cui resta l'amore per la ritmica tropicale, ma appare meno ariosa la ricerca per la multicromia del suono a cui ci si era abituati in passato. Voto 6.5

STUDIO MURENA “Notturno”

Anche con Studio Murena siamo ai confini, in questo caso di un mondo più trasversale che mescola tante esperienze, abitudini ad ascolti diversi che talvolta funzionano ed in alcuni momenti meno. Il territorio sonoro sul qualche ci si muove è quello che spazia dall'alternative rock al trip-hop (“figlio” degli stessi Casino Royale) passando per quella linea di confine che oggi avvicina molto il jazz con la musica elettronica. Notturno è un disco assai godibile e che, come dice il titolo stesso, porta l'ascoltatore in una lunga notte scura e profonda, un viaggio tra paure e distrazioni lisergiche, lungo le strade che collegano le metropoli con la provincia (in questo caso il Monferrato da cui provengono alcuni dei componenti la band). Voto 6,5

BYENOW “Feeling Warm Driving in Bad Weather”

I cuneesi Byenow sono una realtà che oramai da anni coltiva il sacro fuoco dell'alt-folk e con il disco prodotto da Any Other (collaboratrice anche nel tour Infedele di Colapesce) uscito nel 2025 hanno dato prova di una grande prova di carattere. Feeling Warm Driving in Bad Weather è un disco che nella sua idea di non voler stupire a tutti i costi, convince per il modo con cui si sviluppa lungo i quasi 45' di tutto l'ascolto. Non un climax, né momenti di “up” rispetto ad altro, ma al contrario un percorso in cui l'intimità la fa da padrone in un lento incedere tra giornate di pioggia e timidi soli invernali. Voto: 7 

MARCO CASTELLO “Quaglia Sovversiva”

Durante l'ultima comparsata torinese in tour di Erlend Øye sul palco si era fatto apprezzare anche il cantautore Marco Castello che aveva presentato alcuni brani tratti dai suoi due primi lavori. Quaglia Sovversiva risente dell'influenza artistica condivisa con i conterranei La Comitiva e dell'esperienza trascorsa negli ultimi anni a fianco all'ormai italo-norvegese Kings of Convenience, ma si percepisce una tensione cantautorale che sta tra l'ultimo Battisti ed un certo Dalla (anche se Castello non è dotato della stessa potenza canora). Il poco tempo dall'uscita (12 dicembre e 1 giorno di ascolto) non permette a chi scrive di esprimere un'opinione con tanto di voto, ma il percorso artistico di questo ragazzo siciliano è destinato ad emergere. Voto: S.V.

Qui di seguito ancora il suggerimento ad andare a votare il vostro disco migliore e decretare il Disco dell'Anno di CULTURECLUB51

per leggere più nel dettaglio le classiFìCHE invece qui:

25) ARC DE SOLEIL “Lumin Rain” 
Gli amanti dei Khruangbin potranno ritrovare nel disco del progetto Arc de Soleil numerosi appigli e sonorità famigliari. Il progetto nato a Stoccolma si sviluppa attorno al producer di origini indiane Daniel Kadawatha. Dopo una serie di Ep e singoli pubblicati su alcune piattaforme è giunto Lumin Rain, primo full lenght: per quanto il progetto sia un ricco melange interpretativo di musica introspettiva, bel groove e ipnotici loop di chitarra, il disco è eccessivamente derivativo rispetto al lavoro svolto dalla band americana. Voto: 6 

24) ADDISON RAE “Addison”
Donna di spettacolo, sponsor di brand all'ultima moda, autrice di podcast, cerchia di Charli XCX, se si pensa ad Addison Rae si può pensare di esser davanti ad una nuova Madonna. Così forse le attese per il disco di debutto erano molto elevate; forse un tantino troppo. Addison è un disco di pop - non ci si poteva aspettare molto altro del resto - assai derivativo e poco coinvolgente, prevedibile e per nulla interessante contando il personaggio ed il contesto. Voto: 6 

23) FLORENCE + THE MACHINE “Everybody Scream”
Chi conosce il nome di Florence Welch ed il collettivo con cui si muove sa perfettamente riconoscere quando suona una sua canzone: il timbro di voce, il pathos emotivo, una struttura dei brani pomposa, ma mai artefatta. Everybody Scream è un disco che suona come gli altri album di Florence and the Machine, fatto di misticismo, drammaticità, cupo e parimenti potente. E come un "classico" album di Florence + Machine anche Everybody Scream ha il grande pregio di non deludere mai, anche se sembra sempre un po' uguale a sè stesso. Voto: 6,5

22) TAME IMPALA “Deadbeat”
Quando nel 2010 Innerspeaker venne accolto dalla critica in modo entusiasta e Kevin Parker come il nuovo “guru” della psichelia, chi scrive aveva guardato con una certa diffidenza a questa esperienza: i successi non nascondevano tutti i limiti di un progetto che funzionava perchè assai derivativo. Con Deadbeat invece, pur mancando di freschezza (di cui i primi album strabordavano), Parker tenta di allontanare l'ascoltatore dall'immaginario sonoro creato in passato ed in quei momenti ci mostra essere artista che, per troppo tempo, ha gigioneggiato con quello che poteva piacere al pubblico, anziché affondare il colpo con le proprie reali qualità. Oggi che la vena creativa è almeno in parte scemata resta il rammarico per il tempo speso a specchiarsi, ma il compiacimento per un vecchio leone orgoglioso che vuole ancora mostrare il suo valore. Voto: 6,5 

21) LORDE “Virgin”
Dopo un disco bomba nel 2013 come Pure Heroine ed un paio di “salti a vuoto” Lorde è tornata con un disco che si muove rispetto agli esordi su territori più tradizionalmente attribuibili al pop. L'artista di origini neozelandesi ha trascorso il decennio forse schiacciata dalla responsabilità di dover mantenere le attese, ma oggi, più matura e con un disco assai introspettivo, pare aver trovato il proprio centro e focalizzato con precisione l'intento del proprio progetto artistico. Virgin è un disco di consapevolezza, sia nella matrice musicale sia nella parte autoriale: l'elemento musicale (synth pop) fa da tappeto alla voglia di mettersi a nudo con tutte le proprie debolezza. Voto: 6,5 

20) VIAGRA BOYS “viagr aboys”
Sono stati considerati una della live band dell'estate del 2025 e forse non averli ascoltati dal vivo rende il giudizio nei confronti dei Viagra Boys più severo del dovuto. Tant'è, la band svedese con il quarto disco ha tentato di ripetere un po' il percorso che era riuscito qualche anno fa agli Idles, con la differenza forse di uno spettro immaginifico più limitato rispetto alla band capitanata da Joe Talbot. Viagr Aboys è comunque un disco di post punk assai godibile e danzereccio che forse ha il solo limite di essere solo un disco di post punk danzereccio godibile e nulla più. Voto: 6,5 

19) U.S. GIRLS “Scratch It”
U.S. Girls è un progetto che ruota attorno all'americana Meghan Remy, fatto di sperimentazione nel mondo del pop di cui il disco “In A Poem Unlimited” del 2018 venne acclamato da critica e pubblico per la sua capacitià di stare in equilibrio tra creatività personale e mondo “mainstream”. Scracth It non riesce nel tentativo di ripetere quel disco riuscitissimo anche perchè di acqua sotto i ponti ne è passata e Meghan si è ritrovata in un nuovo periodo della sua vita (compresa la maternità). Il risultato è un collage di brani che, quando funzionano, lo fanno ognuno per sé e che poco danno la sensazione di un'opera coesa ed in questo tentennare all'ascolto si può considerare Scratch It come opera secondaria. Voto 6,5 

18) BLACK COUNTRY, NEW ROAD “Forever Howlong”
Quando si dice che la creatività per quanto importante non possa essere l'unico elemento capace di rendere un progetto artistico capace di sfondare e di regalare alla memoria pagine di rara bellezza. Forever Howlong è il primo disco della band britannica orfana del grande estro creativo di Isaac Wood e per quanto la band abbia provato a rigenerarsi si sente tutta e completamente la sua mancanza. In questo nuovo corso (perchè i BC,NR oggi sono letteralmente un'altra band, completamente diversa, rispetto al 2022) Forever Howlong segna una sorta di punto zero da cui ripartire: viste le grandi qualità tecniche del sestetto avrà sicuramente materiale per rigenerarsi, possibile che ci vorrà ancora un po' di tempo. Voto: 6,5 

17) MDOU MOCTAR “Tears of Injustice”
A maggio 2024 con Funeral for Justice il chitarrista nigeriano affronta i problemi dovuti alle occupazioni coloniali. Moctar ha affermato di “voler far suonare la sua chitarra come una persona che grida aiuto”, ma dopo il funerale della giustizia è il momento delle lacrime dovute all'ingiustizia: una versione acustica in cui accompagnare l'ascoltatore. La musica tuareg in tutte le sue sfaccettature perde parte della forza narrativa del primo lavoro, a favore di un disco in cui si cerca unn versione acustica, più intima, riscopre la natura originaria della tradizione. Voto: 7 

16) OKLOU “Choke Enough”
Marylou Mayniel è un'artista francese di musica elettronica francese, dj e producer che ha lavorato con alcuni dei nomi principali del genere degli ultimi anni: da Sega Bodega a Flume. Nonostante la giovane età (ha da poco superato i 30 anni) arriva ad un full length dopo 10 anni di lavori, produzioni ed un mixtape come "Galore" che ha riscosso grandi successi. Choke Enough è un disco che risponde alle arie rarefatte del genere e del "milieu" nel quale la giovane Marylou si colloca, sofisticato quanto basta e catchy al punto giusto; il difetto sta che in questo ondeggiare nella godibilità del suono non si raggiungono mai livelli da "wow". Voto: 7 

15) WEDNESDAY “Bleeds”
Gli americani Wednesday potrebbero essere annoverati alla categoria giovane cover band del noise/grunge di fine millennio (scorso) soprattutto perchè, all'avvio dell'ascolto, lascia la sensazione di “roba già ascoltata” a più riprese, specie per chi è avvezzo al genere e ne ha masticati di anni alle spalle. Bleeds è però un album che macinando ascolti (al contrario di Rochelle Jordan) è assai godibile, che suona davvero bene e che offre uno spettro abbastanza ampio del genere made in USA: dai brani più ruvidi e ruggenti alle ballate quasi southern. Niente di più e niente di meno di un disco di sano e vecchio alternative rock, di quello che talvolta sembra forse un po' stantio, ma che ti riconcilia un po' con sensazioni di età passate e per le generazioni di nuovi chitarristi imberbi magari l'occasione per approcciarsi (ex novo) ad un genere che può offrire sorprese, come questa. Voto: 7 

14) PULP “More”
In uno degli anni in cui maggiormente si è avvertito il gusto per il “retrò” nel regno unito sono state due le notizie di maggior interesse, entrambe provenienti dal brit-pop. Oltre alla reunion dei fratelli Gallagher infatti con grande clamore sono tornati a produrre un disco di inediti i Pulp (Different Class rappresenta insieme a What's the Story, Morning Glory e Park Life la Trinità del genere). Per quanto orfana delle linee di basso di Steve Mackey (deceduto prematuramente nel 2023) si è presentata con un disco in perfetta linea con la band che per quanto ricca risente anche inesorabilmente della presenza ingombrante dell'istrionico Jarvis Cocker. Voto: 7 

13) BON IVER “SABLE, fABLE” 
Tutte le volte che Justin Vernon si dedica ad un nuovo disco è probabile che ci si potrà appassionare a qualcosa di nuovo. Ma è pur vero che sebbene le qualità artistiche del suo personaggio non si discutano, non sempre le ciambelle escano con il buco. SABLE, fABLE è uno di questi tentativi in cui come fatto per il disco precedente, con il folk, l'artista americano torna ad esperienze precedenti (in questo caso a “22, A Million” e “i, i”) per rilanciare la palla più avanti: risultato interessante, con tante cose che attirano l'attenzione, perchè se ne percepisce la novità, ed altre che forse tentennano maggiormente. Voto: 7 

12) ROCHELLE JORDAN “Through the Wall”
Un disco in cui il Jazz cerca il contatto con nuove sonorità e la voce di Rochelle Jordan si muove sinuosa tra le note: un disco fatto per gli amanti del mondo lounge, senza essere un disco lounge; più tecnico, raffinato e assai meno patinato. Ai primi ascolti Through the Wall stupisce per la suadenza e per la capacità di attrarre l'ascoltatore di alcuni brani. Poco per volta però, con il sedimentarsi e l'incedere degli ascolti, mostra alcune lacune tendendo a rivelarsi talvolta ripetitivo nelle scelte stilistiche. Voto: 7 

11) FKA TWIGS “Eusexua”
Durante il suo percorso di crescita artistica la cantautrice inglese ha sempre più cercato un intreccio multidisciplinare e tra vari generi della propria musica. Elettronica e pop si intrecciano e si accompagnano gli uni con gli altri, il risultato è un downtempo ipnotico nel quale l'artista si tuffa a piene mani. L'abnegazione per il progetto è totale e si percepisce uno sforzo sofisticato verso un vero e proprio concept album; per quanto sia un passo in avanti, al tempo stesso si percepisce quanto non sempre il tentativo corrisponda allo sforzo profuso. Voto: 7,5

10) BAD BUNNY “Debí Tirar Más Fotos”
Trovarsi ad ascoltare musica latina e raggaetton potrà sembrare alquanto strano, specie per chi non è particolarmente avvezzo al genere. Debí Tirar Más Fotos è un disco perfettamente cucino nel mondo del latino e dello stile reggaeton, ed il portoricano Bad Bunny il personaggio perfetto per portare oggi all'attenzione di un mondo pop di un genere così distintivo. E per quanto possa essere un disco di genere ha la capacità di raccontare un mondo fatto di soppraffazione e soprusi, di egemonia culturale e di segregazione, come pochi riescono in questo momento, diventando così uno dei dischi più ascoltati del momento Voto: 7,5

9) HAYLEY WILLIAMS “Ego Death at a Bachelorette Party”
Con i Paramore Hayley Williams si muove oramai da anni nel rock alternativo con disinvoltura e profondità tra tratti di emo-core, chitarrate ruggenti e sensibilità vocale. Quando dopo anni miss Williams dichiara di essere arrivata ad un album solista ci si poteva aspettare il "classico" disco di chi si "serve" dell'esperienza della band per proporre una linea, non poi così diversa di sè stessa. Ego Death at a Bachelorette Party è invece un disco molto stratificato anche se innervato di pop: abbraccia quella scena musicale femminile che negli ultimi anni ha regalato artiste come St.Vincent, Anna Calvi, Courteny Barnett o le più longeve Cat Power o PJ Harvey, per lanciare il cuore ben oltre l'ostacolo e vincere la scommessa del genere. Voto: 8 

8) ANDREA LASZLO DE SIMONE “Una Lunghissima Ombra”
Un artista che con il lavoro (anche lui alla voce “artigiani della musica”) costruito negli anni ha saputo ritagliarsi uno spazio importante, sebbene considerato ancora “di nicchia”, nel panorama della musica italiana. Dopo l'esperienza di Uomo Donna, la produzione e pubblicazione di una serie di brani ed EP, il torinese De Simone fresco vincitore di un Premio César in Francia è tornato con un disco assai più coraggioso del precedente. Il cantantorato oggi in Italia è un argomento scomodo, ma senza “alzare troppo” la voce o il volume del suono “Laszlo” ci regala un'altra piccola chicca di cantautorato che sa molto di antico se si pensa agli arrangiamenti, ma che suona assai bene e non ci si stanca di ascoltarlo. Voto 8

7) CAMERON WINTER "Heavy Metal"
Il cantante dei Geese è uscito con un disco solista che è tanto interessante (quasi) quanto quello della sua band. La differenza sta nella capacità di passare da un registro all'altro mantenendo l'interesse dell'ascoltatore. Heavy Metal è un disco molto interessante, intenso, che tuttativa rispetto ad altri ascolti (i Geese stessi o Dove Ellis) non arriva con la stessa irruenza e capacità palese di spiazzarti. Voto: 8

6) BLOOD ORANGE “Essex Honey”
Il discorso fatto su Blood Orange potrebbe ricalcare quanto detto Rochelle Jordan: è un momento storico in cui nel jazz si stanno percorrendo strade ricche di ricerca ed estremamente interessante. Essex Honey è un disco ricchissimo di spunti e che si muove lungo diverse declinazioni del genere, si spazia nel soul e ci si allunga verso le sonorità più rock o di maggiore sperimentazione (echi di Ezra Collective). Il disco di Devonté Hynes (qualcuno lo ricorderà a fine anni zero con il progetto Lightspeed Champion) ha il grande pregio, e per questo si guadagna un voto in più rispetto a Rochelle Jordan, di essere un viaggio malinconico e decadente convincente e perfettamente riuscito. Voto: 8

5) The CURE “Mixes of a Lost World”
Solo un anno fa, a ridosso della fine dell'anno, la band capitanata da Rober Smith era uscita con un lavoro a dir poco stupefacente che aveva colto tutti di sorpresa per potenza. Nel 2025 i Cure non si sono voluti limitare ed hanno riproposto il loro Lost World sotto una nuova lente: una versione tutta fatta da remixes. Il risultato è a dir poco stupefacente, quasi migliore della prima versione con alcuni brani che sono autentiche chicche: un disco che merita tutta l'attenzione come fosse un nuovo lavoro perchè gli stessi brani risuonano in modo completamente diverso alle orecchie. Voto: 8,5

4) DOVE ELLIS “Blizzard”
Per chi scrive è il disco dalle maggiori emozioni, tanto più che si parla di un'opera prima creata da un ragazzo di meno di 25 anni. Blizzard è un concentrato di cantautorato che sa tanto di Irlanda (paese natale di Ellis) senza essere folk, raccoglie l'eredità del grunge (viene in mente il lavoro di recupero a inizio millennio di Lou Barlow con EMOH) e ci restituisce un nuovo Buckley. Il disco non fa il verso a Grace, ma Ellis eredita oltre al timbro vocale (anche se non altrettanto esteso) la grande capacità di suscitare brividi dalla prima all'ultima nota del disco, una dote che in un mondo assuefatto da sonorità preconfezionate autotune o vocoder, pareva quasi dimenticata. Voto: 8,5 

3) GEESE “Gettin Killed”

Grande capacità di sapere fare rock, avere la consapevolezza di farlo bene e sapere che cosa si può ottenere mettendo insieme gli ingredienti. Queste sono le tre coordinate lungo le quali si muove il disco dei Geese, un disco rock nel vero senso della parola. La band affronta il genere con grande personalità e libertà, senza la necessità di doversi lasciare andare in schemi precostituiti, ma al contrario creando un flusso sonoro che stupisce per immediatezza nonostante l'elaborata sofisticatezza della proposta. Voto: 8,5 

2) ROSALIA “Lux”

Se Momotami è stato il disco della consacrazione ed al tempo stesso un album ricco di novità, Rosalia con Lux ha voluto spingersi ulteriormente più avanti. In questo tentativo di alzare l'asticella il risultato pare pienamente raggiunto, anche se la perfezione è ancora da venire. L'artista andalusa ha voluto caricare di talmente tante cose (nei generi oltrechè nelle lingue utilizzate) il suo nuovo disco che più che un bagno di luce, Lux pare un vero e proprio abbaglio tale che ci si rischi quasi di perdere. Voto: 8,5 

1) DIJON “Baby” 

Il soul non è mai stato genere così vivo e capace di auto-rigenerarsi. Il disco di Dijon è un concentrato di novità che si sviluppa però in totale continuità con la tradizione più classica del genere. Un disco che parte dall'anima per atterrare su mille altre strade e portare l'ascoltatore in un viaggio di suoni vari, così vari che da tanto non se ne sentivano così tanti e da così tanto tempo se ne sentiva il bisogno. Voto: 9

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