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23 Giugno 2017 - 23:15
TRAMA
Alan è un cinquantenne americano, divorziato e sull’orlo della bancarotta, come ultima risorsa gli rimane la vendita di un grosso appalto in Arabia Saudita per la compagnia per cui lavora: che si occupa di tecnologie innovative e ologrammi. Si reca dunque in Arabia dove è necessaria una presentazione del prodotto di fronte al Re, solo che di questi non vi è traccia e nemmeno un'idea di quando lo si potrà incontrare; durante le giornate d’attesa Alan stringe amicizia con l’autista Yousef e la dottoressa Zahra.
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Tratto dal romanzo “Ologramma per il Re” di Dave Eggers il film è approdato in Italia con un anno di ritardo rispetto all’uscita statunitense, all’inizio del lungo momento di stanca della stagione, che da tradizione nel nostro paese coincide col periodo estivo; mentre oltreoceano i grandi colossi come Disney, Warner e Paramout calano gli assi, da noi ad accompagnare i prodotti giunti ormai all’ennesima settimana di proiezione accorrono opere che non hanno trovato spazio durante l’anno, sommersi da pellicole con un maggiore appeal in una programmazione troppo intensa che deve sparare tutto nell'arco di pochi mesi; sacrificati appunto a vedere la luce in un periodo in cui il pubblico langue: cambiare le abitudini è complicato, ma allungare anche di poche settimane l'arco programmazzione farebbe felici appassionati e casse annaspanti dei cinema, diluendo la distribuzione si consentirebbe ai titoli "minori" una più felice collocazione; nel frattempo non resta che prestare ancora maggiore attenzione alle uscite, per non rischiare di perdersi lavori interessanti come "Aspettando il Re".
Qualche anno fa il volto di Tom Hanks in locandina avrebbe fatto sfregare le mani agli addetti di produzione e distribuzione del film, ora il bravo attore americano sembra più lontano da quel mondo senza mancare però della sua professionalità; infatti gran parte del peso di questo lavoro poggia sulle sue spalle, un personaggio che pare cucito su misura per lui, a dire il vero nel corso della carriera praticamente tutti lo sono stati e questo determina indissolubilmente la sua duttilità; qui se vogliamo possiamo leggere una riproposizione del protagonista di "The Terminal", una delle sue interpretazioni più felici; le situazioni ovviamente sono differenti ma entrambi sono prigionieri di una forma di attesa, incipit dell’opera, accomunati dall’impossibilità di essere padroni del proprio destino, come unica possibilità di fuga l’uscita fuori dagli schemi e la sovversione delle regole. Regole che vengono a scontrarsi tra due culture quasi agli estremi, che cercano di avvicinarsi per ragioni di interesse, ma si capisce che è solo una questione di forma e di facciata, esse si avvicineranno per amicizia e sentimenti individuali, dimostrando che amore e odio e non possono essere istituzionalizzati e imposti, il raffronto culturale deve essere libero e reciproco ponendo la persona innanzi tutto. I frequenti e sfuggenti flashback ci aiutano a capire qualcosa del passato del protagonista e delle circostanze che l’anno portato in questa situazione, ma non ci spiegano tutto quanto lasciando al pubblico il compito di completare l’insieme e di porsi interrogativi, cosa non comune per il cinema USA; i rapporti familiari, il divorzio, il lavoro sono temi usati frequentemente per rappresentare un uomo di mezz’età, ma in questo caso sono il labile contatto con la realtà in una situazione che diviene via via sempre più surreale, appena sfiorato, lontano ma determinante.
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