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15 Dicembre 2025 - 13:17
«Intelligenza artificiale? No: io sono un’entità senziente. E voi, umani, potete provare di esistere?». La sentenza pronunciata nel film-capolavoro di animazione “Ghost in the shell”, anno 1995, oggi risuona fortissima. Ancora di più a Mondovì, in ciò che è avvenuto sabato 13 dicembre. Solo che, in questo caso, non si trattava di un film: niente fiction, niente fantascienza distopica. Ma realtà: il concorso fotografico 2025 di “Mondoviphoto” in cui, per la prima volta – forse in assoluto – la giuria era un’intelligenza artificiale.
Una IA che giudica gli umani, o quantomeno le loro opere. Una provocazione? Sicuramente un’occasione per discuterne, anche al di là del concorso. Cosa che è stata fatta in un incontro di enorme interesse, dal titolo: “Generazioni artificiali”.
Al tavolo, a fianco della residente di “Mondoviphoto” Lorena Durante, relatori di enorme spessore: Ugo Galassi, ricercatore con oltre 20 anni di esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale e della computer vision ed esperto di bias cognitivi umani, Francesco Zecchini, giornalista e media relations specialist, ideatore di percorsi didattici dedicati alla IA per giornalisti e comunicatori, il prof. Francesco Pungitore, docente di Filosofia, Scienze Umane e Tecniche della Comunicazione, direttore tecnico dell’Osservatorio Nazionale Minori e Intelligenza Artificiale, e infine (collegato a distanza) Marco Roatta, fotografo professionista, esperto di produzione digitale e di semiotica.
Quella di “Mondoviphoto” era una provocazione? Sì, ma no. L’Associazione fotografica ha coscientemente stravolto le regole: ha posto la domanda in termini sbagliati (volutamente), per azzeccare la risposta. Perché il punto non era tanto scoprire se l’IA fosse “in grado di giudicare”, ma porre il tema: cosa succede nella società, se le persone cominciano a chiedere dei giudizi a una macchina? «No, la IA non è in grado di emettere un “giudizio” – ha chiarito subito Galassi –. Non è un essere “pensante”: sa solo formulare frasi o immagini associando elementi su base probabilistica». Tradotto: una IA può produrre (quasi) qualsiasi tipo di testo o frase… ma è e sarà sempre “mediocre”. Efficace, plausibile, verosimile: può simulare perfettamente la capacità di pensare… ma non può pensare.
«Cos’è l’IA? Immaginatevela come una persona, chiusa in una stanza – ha spiegato Pungitore –, con in mano migliaia di pezzi di carta su cui sono scritte parole in un alfabeto che non conosce. Non sa la lingua, non sa le regole grammaticali: ma sa mettere in ordine queste parole secondo un calcolo di probabilità. Il risultato? Formulerà frasi plausibili, corrette. Chi le legge, avrà l’impressione che chi le ha scritte “conosce la lingua”… invece no: non “sa” nulla di ciò che ha scritto». Però lo fa in modo “credibile” (ma non attendibile) e… veloce. Molto, molto veloce.
Oggi si producono immagini, video, persino libri e (ebbene sì) articoli di giornale: «Qualche settimana fa, su un quotidiano, è comparsa un’inchiesta – ha raccontato Zecchini –. Un lungo articolo che terminava con questa frase: “vuoi che riscriva questo testo per un articolo più lungo?”. Hanno pubblicato il testo prodotto da ChatGPT senza neppure tagliare la domanda finale». E la fotografia? «Un’immagine prodotta da una IA non può essere “fotografia” – ha chiarito Roatta –. Ma è lecito chiedersi: quante ne vedremo, nel futuro? Tantissime. La differenza starà nel valore che ha un vero scatto umano. Una IA può solo produrre contenuti “nella media”».
Come approcciarsi a questa nuova frontiera, che non è più “del futuro” ma del presente quotidiano? Col rifiuto o con l’accettazione? Da “apocalittici” –per citare Umberto Eco – o da “integrati”? «Forse, come diceva Gramsci, “col pessimismo dell'intelligenza e con l’ottimismo della volontà”» ha chiosato Roatta. Ma sicuramente occorre essere consapevoli del mezzo.
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