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23 Luglio 2025 - 10:27
Foto Soccorso Alpino e Speleologico Piemonte - CNSAS
«Noi soccorriamo tutti». È un po’ il motto di chi fa il volontario. Per il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico diventa uno stile di vita che parte da un requisito imprescindibile: l’amore per la montagna. Quando scatta l’allarme, di solito, chi si trova più vicino si organizza in una squadra e parte. Nella maggior parte delle stazioni (e la Delegazione di Mondovì non fa eccezione) non c’è bisogno dei turni. Si opera “a chiamata”: quando c’è bisogno si parte e si va. C'è una legge nazionale che permette ai volontari di assentarsi dal lavoro per prestare soccorso, ma ovviamente serve sacrificarsi e fare i conti con le proprie disponibilità. Ogni stazione, nella sua autonomia, riesce comunque a garantire la reperibilità senza grosse difficoltà.
«Noi ci definiamo “tecnici-volontari”, perché l'ingresso nel Corpo richiede competenze specifiche e un’accorta preparazione, a cui si aggiungono poi corsi di formazione e aggiornamento continuo. Ma siamo in tutto e per tutto volontari», ci spiega Simone Bobbio, responsabile della comunicazione nel Soccorso Alpino e Speleologico piemontese. D’estate, con il maggior afflusso del popolo nelle terre alte, gli interventi si moltiplicano, e basta vedere la cronaca di questi giorni. Tendenzialmente, a luglio l’attività si concentra sul fine-settimana; ad agosto, il mese per eccellenza, sono più costanti anche in settimana. Poi ci sono i cambiamenti climatici che hanno anticipato sempre di più la stagione alpinistica.
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Nel 2024 sono state soccorse dagli “angeli della montagna” 1.646 persone. Viene però difficile fare confronti: c’è un prima e un dopo l’arrivo del telefono cellulare. Anni fa non c’era modo di chiedere aiuto immediato, oggi chiunque può farlo e, in certi casi, anche “pretendere” un intervento. Ogni rivoluzione tecnologica porta con sé pure un cambiamento sociale e culturale. Oggi si percepisce il soccorso come un servizio garantito, ma in montagna non ci sono le stesse regole della piana. Il soccorso in ambiente alpino è una macchina attrezzata e potente, non un’auto da corsa. Ed è una macchina che funziona: delle 1.500-1.600 persone in difficoltà assistite ogni anno, la maggior parte degli interventi si risolvono positivamente. Il tasso di mortalità a livello regionale oscilla tra i 74 morti del 2024 e i 92 del 2021.
«Ogni ricerca persona fa storia a sé», continua Bobbio. «Emblematica è stata la giornata di domenica: da una parte la tragica fatalità del ragazzo di 21 anni precipitato a Demonte, dall’altra la storia a lieto fine di papà e figlio che si sono salvati trovando riparo nella notte in un alpeggio abbandonato all’Alpe Pizzo di Meggiana, nel Vercellese. Per chi fa soccorso, la soddisfazione sta nel riuscire a salvare una singola vita. Ma anche recuperare una salma è un servizio fondamentale per le famiglie. A volte passiamo giorni interi in ricerche, mettendo in campo ogni risorsa disponibile, senza raggiungere nessun esito. Quello è il momento peggiore».
In Piemonte l’“esercito” del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico Piemonte è composto da circa 1.100 volontari, organizzati in stazioni locali di valle o che coprono più valli. Mondovì comprende, ad esempio, anche Garessio e Chiusa Pesio. Sono poco meno di un centinaio gli operatori, il capo stazione è Carlo Avagnina. «Siamo tutti volontari – spiega –, ognuno vive la sua vita normale. Quando veniamo allertati dal capostazione di Torino, in base a chi è geograficamente più vicino e alle disponibilità di ognuno, ci organizziamo e partiamo. Ultimamente, il periodo è un po’ più “caldo” rispetto alla scorsa stagione. Si viaggia a una media di un intervento a settimana, poi ci sono le operazioni dell’elicottero (munito di un tecnico professionista del Soccorso Alpino), che contano a parte». Gli chiediamo cosa vuol dire essere soccorritore. «È un impegno che ci si prende quando si è appassionati di montagna», ci risponde semplicemente. Anche di fronte a chi si approccia alla montagna in maniera superficiale, sottovalutando rischi leggeri quali i colpi di sole o banali distorsioni che, in ambienti montani, possono però diventare estremamente pericolosi.
E qui torniamo all’attacco iniziale: «Noi soccorriamo tutti». Il Piemonte è stata l’ultima regione italiana a dotarsi di una legge sulla compartecipazione alle spese di soccorso, entrata in vigore il 1° gennaio 2016. Ma il problema resta definire un criterio oggettivo e definitivo per stabilire chi deve pagare e chi no. La nostra regione ha adottato in questo senso sia “il bastone che la carota”. Un esempio: se uno si sloga la caviglia a dieci minuti dal parcheggio o sulla cima del Monviso, la situazione cambia radicalmente, anche se l’entità della ferita è la stessa. Il Piemonte ha cercato di fare tesoro delle esperienze altrui, approvando la legge sulla compartecipazione per disincentivare le chiamate inutili ma, di fatto, non applicandola mai. Un modo per ricordare che il confine comunque tra soccorritore e soccorso è labile. D’altronde non si può essere soccorritore alpino senza essere alpinista e non si può essere soccorritore in ambiente ipogeo senza essere uno speleologo. È matematica.
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