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10 Luglio 2025 - 12:08
I prodotti agroalimentari certificati D.O.P. sono ormai largamente venduti e consumati, ma spesso non si conoscono la prassi e gli standard da rispettare nel corso di tutto il processo che li coinvolge, dalla raccolta delle materie prime locali fino alla trasformazione nel prodotto finale destinato ai consumatori. In Italia, Paese che vanta il maggior numero di riconoscimenti a livello mondiale, il Piemonte rappresenta un fiore all’occhiello in tutti i settori agroalimentari, incluso quello lattiero-caseario. Sono infatti dieci i formaggi D.O.P.: Toma Piemontese, Bra, Raschera, Castelmagno, Roccaverano, Murazzano e Ossolano, a cui si aggiungono Grana Padano, Taleggio e Gorgonzola, prodotti non solo nella nostra regione.
REQUISITI DI QUALITÀ – Per far sì che questi formaggi ottengano la Denominazione di Origine Protetta, occorre che vengano rispettati tre criteri fondamentali. Il primo di questi è che la produzione, dalla materia prima al prodotto finale, avvenga in una zona geografica delimitata definita dai disciplinari. In particolare l’allevamento da cui proviene il latte, il caseificio e lo stagionatore devono trovarsi in un’area precisa, cioè in un territorio di origine caratterizzato da condizioni ambientali e tradizioni agricole uniche, requisito che non vale, invece, per il porzionatore. Per questo è fondamentale anche verificare la tracciabilità dell'intera filiera produttiva, dalla produzione del latte alla stagionatura del formaggio, in modo tale da garantire la qualità e l'autenticità del prodotto.
In secondo luogo, è richiesto che il latte e il formaggio D.O.P. provengano effettivamente da capi appartenenti a razze specifiche, se indicate dal disciplinare: un requisito particolarmente restrittivo nel caso dell’Ossolano D.O.P. e del Castelmagno D.O.P., che derivano dal latte di razze dalle caratteristiche decisamente uniche. Questo viene verificato di persona dagli operatori che si occupano della certificazione con visite periodiche alle stalle dei produttori.
Infine la razione di mangime somministrato alle vacche deve essere formata per almeno il 50% da materie prime prodotte dall’allevamento stesso o acquistate da aziende ubicate nel territorio previsto dal disciplinare. Ma se è data la possibilità di integrare la razione di fieno e di erba con altro mangime, come accade, ad esempio, per il Castelmagno D.O.P., allora l’ente certificatore andrà a verificare anche le caratteristiche e la composizione di quella parte di razione. Anche in questo caso la verifica avviene di persona, con visite periodiche all’allevamento, ma anche attraverso la consultazione dei fascicoli dei terreni aziendali, tutti disponibili su piattaforme regionali, dove è indicata la destinazione agricola dei terreni e, quindi, il tipo e la quantità di razione che l’allevatore può effettivamente autoprodurre.
IL PROCESSO DI CERTIFICAZIONE – Facendo un passo indietro, è interessante comprendere quale sia il percorso che un produttore deve compiere per entrare a fare parte di queste filiere agroalimentari di qualità. Se un allevatore, fornendo il proprio latte ai caseifici locali designati, desidera partecipare alla produzione di un determinato formaggio D.O.P., l’ente certificatore effettua una prima valutazione documentale e, in seguito all’accettazione della quota contrattuale e al pagamento della quota annuale da parte del produttore, una verifica ispettiva in campo per controllare il rispetto dei criteri previsti dal disciplinare.
Nel tempo l’allevatore viene sottoposto a controlli periodici: ogni anno il 35% degli iscritti viene ispezionato a campione, in modo che ciascun produttore venga controllato con cadenza triennale. Questa verifica costante permette di garantire costantemente la qualità produttiva e il rispetto dei requisiti, tutelando così gli interessi dei consumatori e favorendo la valorizzazione di un determinato territorio.
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