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Ozzy e l'horror, tra fascino e ironia

Ozzy e l'horror, tra fascino e ironia

"I tre volti della paura" (1963), il film di Bava che ha ispirato il nome dei Black Sabbath nella sua traduzione inglese.

Nel racconto mitologico della nascita del metal, i Black Sabbath emergono come figure archetipiche, incarnazione vivente di un immaginario horror che prende corpo nella musica. Il loro nome fu ispirato dall’omonimo film horror italiano del 1963, Black Sabbath, diretto dal maestro del gotico Mario Bava e interpretato da un’icona del genere, Boris Karloff. L’idea nacque da una riflessione di Geezer Butler che raccontò di aver visto gente fare la fila fuori dal cinema per pagare e spaventarsi. «Strano, pagavano per spaventarsi». Così nacque la canzone Black Sabbath, con il celebre riff in tritono – il cosiddetto diabolus in musica medioevale – e un’atmosfera cupa e opprimente, che segnò una rottura decisa rispetto ai suoni psichedelici e floreali che avevano dominato la scena musicale degli anni Sessanta.

Negli anni Settanta, l’horror cinematografico – da L'esorcista in giù – contribuì ad alimentare un immaginario sempre più oscuro, nel quale Ozzy Osbourne si inserì come figura teatrale di grande potenza scenica. Ma la sua non fu mai una celebrazione del male: spesso i riferimenti occulti ed esoterici erano venati di ambiguità, ironia e critica. È il caso del celebre Mr. Crowley (1980), ispirato alla figura dello scrittore e occultista Aleister Crowley, venerato dalla scena esoterica. Più che esaltarlo, la canzone sembra metterlo in discussione, interrogandolo con tono incerto: una forma di dialogo critico con il potere delle tenebre, tutt'altro che un’adesione mistica.

In War Pigs, l’immaginario delle notti di Valpurga si fonde con una denuncia politica (terribilmente attuale): non demoni, ma governanti e generali corrotti sono i veri stregoni. In N.I.B., appare Lucifero, per il film Hellraiser III, la band scrisse un brano apposito, rafforzando ancora il legame tra heavy metal e horror cinematografico. E Ozzy, intanto, accoglieva l’etichetta mediatica di Prince of Darkness, anche grazie a gesti iconici come il celebre morso al pipistrello sul palco.

Ma la maschera era portata con ironia (come nel celebre reality sull'Ozzy familiare e quotidiano, quasi una moderna Addams Family): Ozzy gioca con l’orrore, lo interpreta e lo disinnesca con il suo umorismo dark, a differenza di altri artisti rock che trattano il misticismo occulto con serietà dogmatica. E forse è proprio questa ironia teatrale a spiegare il suo successo iconico.

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