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10 Settembre 2025 - 11:02
La frase “La giustizia è uguale per tutti” lascia spesso spazio a commenti ben poco lusinghieri sulle falle del sistema giudiziario, sulle vie legali che spesso si incagliano in qualche cavillo burocratico o riguardo alle lungaggini spesso presenti ad ostacolare un giusto processo.
Forse è questo il motivo per cui il protagonista sceglie di uscire dai binari della legge e di mettersi dalla parte del male, giocando sulle sue diverse gradazioni, piacciono al vasto pubblico. In qualche modo esorcizzano un desiderio di vendetta che fa parte dei lati oscuri dell’essere umano.
Il successo della prima stagione di “Dexter: Resurrection”, ed in generale di tutti i capitoli della saga di Dexter Morgan a partire dal 2006, ne è una conferma lampante. Lo spettatore finisce per patteggiare col macellaio di Bay Harbor, sperando nei momenti di maggior tensione che eviti la cattura e prosegua col suo lavoro di eliminazione dei criminali, i quali altrimenti passerebbero anni in carcere, o in semilibertà, in attesa di un processo che forse non arriverà mai.
Dexter assicura una giustizia veloce e sommaria, spesso apprezzato dai detrattori dei sistemi giudiziari moderni, ma vi è un aspetto sicuramente meno lucente: la sua pazzia. Quella dell’instabilità mentale è una componente che si fa sentire prepotentemente nella personalità di Dexter, come in quella di altri suoi “colleghi”, e con la quale il pubblico deve fare i conti.
A seconda del personaggio, questa follia si manifesta e viene arginata nei più disparati modi. Per Dexter è il codice di suo padre adottivo Harry, il quale lo educa in modo da sfogare i propri impulsi solo su criminali meritevoli di quella fine. Questo insieme di regole non impedisce però al protagonista di porsi domande sul suo operato che tengono lo spettatore incollato allo schermo.
Con l’evolversi del personaggio, anche il codice cambia, con le maglie della rete morale che a volte si dilatano, con l’idea di togliere di mezzo persone innocenti, colpevoli solo di aver scoperto la sua vera natura. Altre volte le stesse maglie si serrano, col simpatico perito ematologo di Miami che rifiuta di commettere un omicidio finché non avrà abbastanza prove per accertare la colpevolezza della prossima vittima.
Cambiamenti, quelli della psiche di questi personaggi ben oltre i limiti dell’etica, che sono le vere ansie degli spettatori. Non è infatti quella dell’arresto del protagonista la preoccupazione più grande per chi sta guardando, ma che un cambiamento radicale nel comportamento del personaggio per cui si patteggia lo porti a discostarsi dagli ideali che fino a quel punto avevano impedito un baratro assoluto.
Lo spettatore è cosciente che l’azione del protagonista è sbagliata e “il fine giustifica i mezzi” è la sfida etica che, provocatoriamente, la serie televisiva pone allo spettatore. La paura in chi guarda è invece che dietro a quel velo di Maya della rassicurante giustizia rapida e senza errori si celi un mostro malato, dedito ad azioni ancor più riprovevoli di quelle compiute dalle sue vittime.
Finché la maschera regge, dietro al velo della finzione, ci saranno sempre spettatori che continueranno a tifare per il bonario padre di famiglia che di notte getta pezzi di cadavere in mare.
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