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Quando al posto della Scuola Media c'era la fabbrica di ceramica

Quando al posto della Scuola Media c'era la fabbrica di ceramica

Ha suscitato curiosità la notizia, pubblicata dal nostro giornale qualche giorno fa, del cambio di progettazione per l'area alle spalle della Scuola Media "Anna Frank" di Mondovì Breo.

L'area verde alle spalle della scuola avrebbe dovuto essere parzialmente spianata per allargare il letto del torrente Ellero. Tuttavia, i sondaggi sul terreno hanno rivelato tracce di residui delle vecchie fabbriche che sorgevano in quel punto.

Una cosa normale: le industrie sorgevano lungo i corsi d’acqua per sfruttare la forza idraulica dell’Ellero. Il passato della città di Mondovì è pieno di questi esempi, dalla storica fabbrica “Jemina”, che sorgeva sulla sponda opposta (dove ora c’è il “Cigna”) a quella del Follone).

Si va indietro fino al 1800: lì c’era prima una fabbrica di zolfanelli (e prima ancora un setificio) e poi, a partire dal 1876, la fabbrica di terraglia dolce dei fratelli Messa (che già dal 1860 avevano  l'avevano aperto una fabbrica di terraglie comuni, sempre in zona Borgato). Lì i Messa potenziarono la produzione della "Vecchia Mondovì" di ceramica artistica; poi nel 1884 venne rilevata da Lorenzo Beltrandi e Felice Musso. La fabbrica di ceramica rimase operativa fino al 1963. La Scuola media “Anna Frank” venne inaugurata nel 1977.

Cartolina pubblicitaria di Agide Noelli 1910. A destra si intravede lo stabilimento della Ceramica Beltrandi sorta nel sito del setificio Stralla (sec. XVIII), poi fabbrica di fiammiferi, e quindi fabbrica di ceramica Messa (sec. XIX). Sullo sfondo si vede la fabbrica di acido tannico Jemina e Battaglia, e fa costruire la sua tettoia a grandi arcate di mattoni per far asciugare i tronchi ancora esistente. La fabbrica di acido tannico, estratto dai castagni delle Valli monregalesi, fu attivata nel 1905 in un edificio per la produzione di ceramica (Giuseppe Besio 1850) a sua volta sorto su un setificio (Rolfi di Marigny, prima metà sec. XVIII). La Jemina e Bataglia verrà spostata nel 1960 a S. Michele, prendendo nome di Industria Chimica Legno, attuale Silvateam.

La storia della Ceramica di Mondovì

(dal volume "Cento e più anni a Mondovì - vol. 1" di Albino Morandini ed Ernesto Billò, ed. CEM, 1999)

Pioniere dell’industria ceramica nel Monregalese fu Francesco Perotti, medico d’idee giacobine che intorno al 1805, in società con G.M. Tomba e B. Randazzo fondò al Rinchiu­so una piccola fabbrica di terraglia dolce e trasse da una sapiente mescolanza d’argille e da modelli francesi il piccolo miracolo di vasellame con bordi a pizzo e venature simili a legni pregiati. Un esperimento in cui ebbe ruolo determinante l’esperto savonese Benedetto Musso (1782 – 1849), il vero fondatore delle fortune ceramiche locali. In via Nuova e Carassone, Benedetto Musso avviò tra il 1807 e il 1814 un’apprezzata produzione di stoviglie e terraglie tenere: un’attività cui si dedicarono anche i figli e che si protrasse per tutto l’Ottocento con buoni risultati. Piacevano le sue forme e i suoi vivaci colori stesi con pennellate sommarie e sapienti (i fiori, gli uccelli, i paesaggi, più tardi i tipici galli), e lo smercio avveniva su piazze assai lontane.

Il primogenito di Benedetto Musso, Alessandro, nel 1850 acquistò e trasformò in ceramica il Follone, mentre il fratello Antonio, ereditata la fabbrica di Savona, la rese concorrente delle industrie monregalesi, e un altro fratello, Annibale, iniziò a produrre terraglia dolce a Villanova. Nel 1858 le due fabbriche Musso di Carassone producevano 45mila dozzine di servizi all’anno e occupavano 60 persone. L’Unificazione d’Italia dilatò i mercati, ma la rete distributiva si rivelò inadeguata. Alessandro, per superare le difficoltà, puntò sulla qualità rendendo più vari e allegri i decori; poi, alla sua morte, nel 1879, lasciò eredi i fratelli Benedetto e Felice. Quest’ultimo già nell’83 portò la produzione a 2 milioni di pezzi e i dipendenti a un centinaio.

Il protezionismo della Sinistra fece sentire i suoi effetti, ma dall’87 le condizioni del mercato peggiorarono, e Felice non poté più di tanto contare sui salari bassissimi per controbilanciare il ritardo tecnologico: nel 1897, per evitare il dissesto, fu costretto a cedere il Follone alla Richard Ginori.

A sua volta, Benedetto Musso, proprietario dal ’79 della fabbrica di via Nuova incontrò difficoltà e la cedette nel ’98 ad Edoardo Barberis. Costui la rilanciò portandola nel 1912 ad impiegare 104 operai; a quel punto la cedette in piena attività ai fratelli Giorgis e ai Massiera. La Grande Guerra era alle porte; ma l’azienda, pur collassata, sopravvisse, poi si riprese nel ’19 con la Società La Vittoria, che scese in serrata concorrenza con la Richard Ginori. Nel 1927 la Vittoria toccò i 135 dipen­denti, poi risentì della stasi economica e della perdita di mercati esteri, e declinò fino a fallire nel 1935.

Quanto alla Richard Ginori rinnovò gli impianti e la tipica produzione del Follo­ne, arrivando a occupare 300 operai ai pri­mi del ’900 e 400 nel ’14. Dopo la I Guerra ebbe una notevole ripresa fra il 1923 e il 1929; poi nel ’34 gestì un “trust” delle quattro ceramiche locali ricavando van­taggi dai prezzi corporativi. Nel 1946 il mercato tornò gradualmente a tirare, ma lo stabilimento, nonostante le consistenti modifiche, risultò superato e finì per chiudere a fine ottobre 1972, nonostante gli accorati tentativi di difesa di un settore così tradizionale e importante per la città.

I Besio, i Levi - Nel 1841 Giuseppe Be­sio di Albisola affittò in Piandellavalle da G.B. Magliano un ex filatoio già dei conti di S. Quintino e lo trasformò in fabbrica di terraglia tenera, entrando subito in concorrenza con i Musso. Nel 1850 però il Magliano lo sfrattò per improvvisarsi produttore di terraglie in proprio. Nac­que di qui una lite legale durata 17 anni. Intanto il Besio trasferì al Borgato la sua attività, e ve la mantenne anche quando riottenne i locali del Magliano.

Usò egli pure, nelle due fabbriche, for­me, soggetti e decori popolari e vivaci, ri­correndo anche a decalcomanie inglesi e ad argille tedesche. Un milione i pezzi prodotti nel 1884, l’anno in cui Giuseppe morì. La fabbrica del Borgato andò ai figli di primo letto, Giuseppe, Luigi, Federico; ma essa fallì nel 1895 e finì al concorrente Felice Musso. Questi, nel ’97, la cedette alla Richard che, a sua volta, la passò alla banca “Jemina”, pronta ad essere trasformata in fabbrica di Acido Tannico.

Eugenio Besio, la madre Anna Massimino, la moglie Margherita Giustetti guidarono la fabbrica del Piandellavalle agli inizi del ’900, quando i dipendenti salirono da 97 a 110, in quella vigilia di guerra. Nel 1919 la vedova Besio cedette la proprietà alla Società Cesare Lisa & C., succ. ved. Besio e Figli. Ma a sostegno dell’azienda intervenne decisamente nel 1925 il banchiere Moise Ettore Levi, che nel ’31 affidò la direzione della nuova s.p.a. Succ. ved. Besio & Figlio al giovane figlio dott. Marco, che con grande passione la pilotò fino agli anni Settanta. La crisi del ’29 spinse la Besio e le altre ceramiche monregalesi ad associarsi nell’Ufficio Unico Consorziale di vendita. I risultati, non brillanti, permisero però di proseguire l’attività. Poi, dal ’36, la crisi si allontanò e i dipendenti Besio salirono fino ai 167 del 1939. La guerra fu una nuova iattura, e fu accompagnata da persecuzioni razziali contro i Levi. Nel marzo ’45 un bombardamento aggiunse danni alle strutture.

Nel dopoguerra, tornato il dott. Levi, la ripresa produttiva fu un preciso atto di volontà e di passione. I 48 addetti salirono in due anni a 134, poi a 152 nel 1950, a 158 nel 1960. Pittori ceramisti pazienti e abili aggiunsero prestigio d’arte a questa ceramica popolare. Ma la dislocazione poco razionale degli edifici, le difficoltà d’accesso, la crescente concorrenza di aziende del Centro-Sud si vennero però rivelando una remora che la realizzazione di un moderno stabilimento nell’Area Industriale Attrezzata ad opera della Società “Nuova Besio” ha consentito di superare con validi risultati e con speranze per il futuro.

I Beltrandi – Nel 1860 i fratelli Messa trasformarono in fabbrica di terraglie comuni un filatoio al Borgato; la chiusero nel ’76 per aprirne una di terraglia dolce in una vecchia fabbrica di zolfanelli al Rinchiuso. Lì i Messa potenziarono la produzione della “Vecchia Mondovì” e di ceramica artistica; poi nel 1884 cedettero l’azienda a Lorenzo Beltrandi e Felice Musso che apportarono migliorie e trasformarono i forni. Nel 1898 Beltrandi restò unico proprietario per una decina d’anni. Poi la direzione passò al figlio dott. Enrico, che ne favorì lo sviluppo e lo smercio anche oltreoceano. Nel 1963 la chiusura. Al suo posto la Media di Breo.

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