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Allarme burnout in sanità: il 90% degli operatori socio-sanitari piemontesi dichiara malessere

Un'indagine regionale svela un settore allo stremo: stress, turni infiniti e poca tutela. Gli Ordini professionali lanciano un appello: “Proteggere chi cura significa salvare la sanità pubblica”

Allarme burnout in sanità: il 90% degli operatori socio-sanitari piemontesi dichiara malessere

Nelle corsie degli ospedali, negli ambulatori, nei consultori e nelle case di cura piemontesi, il malessere serpeggia silenzioso. Medici, infermieri, OSS, tecnici, assistenti sociali: chi ogni giorno si prende cura della salute dei cittadini oggi chiede ascolto, protezione e rispetto.

Il 5 novembre, al Grattacielo della Regione Piemonte, un convegno dal titolo emblematico — “Tutelare chi cura per difendere la sanità pubblica” — punta a rompere il silenzio. La fotografia scattata dall’indagine Inter-Ordini è chiara: il 90% degli operatori dichiara di vivere una condizione di malessere lavorativo.

«Chi sta male lavora male — ricorda il gruppo promotore — e questo principio dovrebbe guidare chi è chiamato a organizzare la sanità pubblica».

Il quadro che emerge dal questionario, condotto su oltre 2.500 professionisti, racconta storie di stanchezza profonda e di carichi di lavoro insostenibili, aggravati da burocrazia opprimente, riconoscimento insufficiente e aggressioni sempre più frequenti. Dietro i camici bianchi e le divise blu, persone stanche che spesso lavorano “in solitudine” e in ambienti dove la tutela psicologica è ancora un miraggio.

«La dimostrazione che la mia organizzazione di lavoro si preoccupa del mio benessere» è il desiderio più citato tra le risposte al sondaggio. Una frase semplice, quasi disarmante, che racconta più di mille grafici.

L’obiettivo della giornata non è solo denunciare, ma costruire soluzioni. Il progetto Inter-Ordini — nato su impulso dell’Ordine dei Medici di Torino — ha messo a punto un vademecum intitolato “Aiutiamo chi cura. Istruzioni per l’uso”, rivolto a strutture sanitarie e sociali per fornire strumenti reali contro lo stress, il burnout e le aggressioni.

La richiesta è chiara: attivare davvero i Comitati Unici di Garanzia (CUG), spesso inattivi o ignorati, e introdurre sistemi di ascolto, prevenzione e supporto psicologico. Perché oggi, spiegano gli Ordini, «il rischio è perdere pezzi fondamentali del sistema sanitario»: professionisti che si dimettono, migrano verso il privato o all’estero, oppure scelgono il quiet quitting, restando ma spegnendosi lentamente.

La preoccupazione riguarda soprattutto i giovani, spesso scoraggiati da ritmi insostenibili e scarse prospettive di benessere personale. Una fuga silenziosa che potrebbe rivelarsi devastante: chi si prenderà cura dei cittadini quando chi cura non ce la farà più?

Il richiamo alla responsabilità pubblica riecheggia forte. Come recita la Carta di Bucarest citata nel documento: «I professionisti della cura sono la spina dorsale di ogni sistema sanitario». Non è retorica, è realtà. E il Piemonte chiede che quella colonna portante sia finalmente preservata — prima che crolli.

 

 

I NUMERI DEL DISAGIO

L’aggiornamento è elemento indispensabile per comprendere lo stato di salute del personale sanitario.  Nel 2023, dopo una prima indagine dell’Ordine dei medici di Torino che si è svolta nel 2022 e ha rivelato la gravità delle conseguenze dello stress da lavoro, il Gruppo Inter-Ordini ha elaborato un questionario sottoposto a tutti gli iscritti dei vari Ordini, invitati a compilarlo su una piattaforma digitale predisposta dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino. L’indagine (fra gennaio e giugno 2023) ha coinvolto 2.558 professionisti, il 75% donne. Alla domanda se provavano malessere il 90% ha risposto Sì.

 

LE CAUSE

Il carico di lavoro (56,6%) e in particolare i compiti di tipo burocratico (48%); lo scarso riconoscimento del lavoro svolto e delle fatiche (55,1%) e le retribuzioni non adeguate (53,5%) ; il tempo sottratto alla famiglia e alla vita privata (48,5%) e la perdita di prestigio (43,7%); il rapporto con i propri colleghi e superiori (41,9% e 40,8%); il lavoro in solitudine (39,6%) ; l’esposizione alle violenze (30,1%); la scarsa autonomia lavorativa (37,2%).

 

CONSEGUENZE

Stress e patologie correlate (66,4%); ansia e depressione (52,2%); distacco, demotivazione e cinismo (52,2%); tensioni e conflitti con i colleghi (53,1%) e con i pazienti e i loro familiari (50,1%); i sentimenti di rabbia, impotenza e inutilità (50,5%); dimissioni e pensionamenti anticipati (43,9%), gli errori, le omissioni e gli incidenti (47,8%), i comportamenti controproduttivi (45%), l’isolamento (41,2%);varie ricadute negative sull’organizzazione (come assenteismo (42,3%); conflitti e contenziosi (45,4%); aumento della spesa sanitaria (43%) e anche sulla vita familiare (40,9%).

 

RICHIESTE DI SUPPORTO

Solo il 23% ha dichiarato di ricevere qualche tipo di supporto professionale.Alla domanda (“Che genere di supporto professionale pensa che sarebbe utile?”) queste le risposte: La dimostrazione che la mia organizzazione di lavoro si preoccupa del mio benessere (18,2%); l’identificazione di modalità operative che riducano lo stress (15,4%); l’opportunità di discutere di pazienti o situazioni che trovo difficili (9,3%); un aiuto a sviluppare strategie per affrontare situazioni che trovo difficili (9,3%). E ancora:  un ambiente sicuro in cui posso condividere i miei conflitti, insuccessi e timori (8,2%);la possibilità di sviluppare e mantenere una consuetudine ad aver cura di sé (6,5%). Rilevante, infine, la percentuale di persone che non hanno risposto a questa domanda (29,8%).

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