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28 Ottobre 2016 - 11:43
Mozart o Beethoven sono stati i più grandi musicisti classici? O è esistito qualcuno il cui genio era ben al di sopra dei loro nomi, ma sconosciuto, “perso” nella storia, semplicemente perchè non era al momento giusto nel giorno giusto? Insomma la domanda a cui si vorrebbe dar risposta è quale sia la differenza tra un divo e un'autentica leggenda? Giacomo Bagna (la scorsa settimana) ha suggerito un pensiero in merito al Premio Nobel a Dylan (perchè non autori come Leonard Cohen o Nick Cave?), ma è difficile rispondere se e come l'arte possa essere immortale o per lo meno superare l'epoca vissuta.
Una risposta volendo la si potrebbe trovare – nei pochi giorni che rimangono qui in Italia (a meno che si voglia andare poi a Tokyo) – visitando la mostra che il MAMbo ha dedicato a David Bowie: una mostra riuscitissima visto l'afflusso di persone (a tre settimane dalla chiusura, senza prenotazione, si dovevano attendere 5 ore) che racconta in un modo dettagliato, ampio e ricco di spunti, la figura di David Bowie.
Ecco, uno come Bowie ha tutte le chance di non essere dimenticato in futuro: un artista vero, e un vero artista; capace di essere pop (nel senso di popolare e “di massa”) senza perdere mai di vista una ricercatezza formale e sostanziale. La mostra è una storia all'interno di un'altra storia: un fil rouge attraverso registrazioni, interviste, poster, appunti, costumi, installazioni, pentagrammi scritti a mano e tanti ammennicoli, che raccontano il percorso, il valore delle scelte e le gesta di un ragazzo qualunque dei sobborghi di Londra che decise di diventare David Bowie. La sua storia artistica è piena di fascino: il suo rapportarsi con il tempo vissuto e con i tempi in cui il pop britannico pareva basarsi sulla dicotomia tra Beatles e Rolling Stones, imponendosi attraverso la sorpresa e la provocazione (prima del punk), una sottile linea tra una apparente vuota eccentricità e un gusto sopraffino. David Bowie fu prima Davie Jones, poi il “Major Tom” e Ziggy Stardust, Aladdin Sane e l'Esile Duca Bianco, Joseph Merrick nella versione a Broadway di the Elephant Man, fu Jareth, re dei Goblin in Labyrinth, il Maggiore “Strafer” in Furyo o ancora Andy Warhol nel Basquiat di Julian Schnabel: mille sfumature di un carattere artistico fuori dal comune, che però non mise mai in mostra al pubblico, se non dopo la morte, il vero volto di David Robert Jones. Una lezione che le star di oggi dovrebbero imparare prima di assurgere anticipatamente all'Olimpo dei nomi eterni.
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