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12 Luglio 2017 - 07:58
"Black Mirror" è una nuova serie tv inglese giunta ormai alla terza stagione. Ormai non è nemmeno più così nuova: la prima stagione è del 2011, ma mantiene intatta la sua attualità, ed è comunque disponibile sull'ormai imperante Netflix, che ha cambiato molto la percezione della serialità (rendendola, tra le altre cose, potenzialmente meno effimera). Come precisa il titolo della serie, le sue puntate autoconclusive vanno a indagare gli effetti del Black Mirror, lo "specchio nero" del cellulare o di qualsiasi schermo di un dispositivo informatizzato. Nel logo della serie, lo schermo è nero anche perché rotto: questo domani ipertecnologico ha le sue ombre, i suoi system errors e il claim "The future is bright" è chiaramente ironico ("il futuro è luminoso": con un doppio senso sempre sugli schermi retroilluminati).
Il team creativo che sta dietro alla serie è ovviamente complesso, ma l'ideatore e produttore Charlie Brooker è sicuramente la mente principale dietro al progetto. Classe 1971, Brooker viene dalla critica del videogame (che recensiva nei '90 su PC Zone), ma anche dal fumetto: sempre per la rivista, aveva creato la striscia Cybertwats, che in chiave di humour nero analizzava il futuro dell'hi-tech. Una vignetta, Helmut Werstler's Cruelty Zoo, parlava di un parco tematico del futuro che consentiva di dare la caccia agli animali, e causò il ritiro della rivista (il tema del parco di divertimenti "proibito" tornerà nella serie Black Mirror, tra l'altro).
Il primo episodio assoluto della serie, The National Anthem ("l'inno nazionale", tradotto in modo falsante), analizza in modo brutale il potere distruttivo della rete e dei social media, anticipando anche in parte i temi del celebre e discusso PigGate (vedi qui) che minò la credibilità di David Cameron prima della sua definitiva sconfitta al referendum per la Brexit. Dire che Black Mirror dia l'avvio al domino che potrebbe distruggere l'intera UE sarebbe di nuovo fantapolitica (Black Mirror anticipa il PigGate, il PigGate toglie credibilità a Cameron, Cameron perde il Brexit, la Brexit avvia la disgregazione dell'Europa). In ogni caso, fin da subito la serie dimostra di saper stare sul pezzo dei fenomeni politici mediatici, addirittura anticipandoli.
Innegabile è anche la scelta di una rappresentazione volutamente sgradevole e aggressiva (del resto, la posta dei lettori curata da Brooker su PC Zone si intitolava "Sick Notes" e insultava chiunque gli scrivesse), fin eccessiva, forse, rischiando di offuscare il messaggio significativo sotto il divertimento caustico. Il secondo episodio della prima stagione, 15 Millions of Merits, contiene parimenti degli elementi abbastanza estremi per gli standard televisivi italiani, ma giustificati in questo caso dal contesto. La puntata parla della Gamification, allora in auge (l'uso di meccanismi del videogame per spingere gli utenti a svolgere spontaneamente date azioni, come comprare un prodotto o raccogliere la spazzatura) e mai finora applicato con successo. Certi elementi, però, possono applicarsi benissimo alla critica dei social, di cui parla in modo indiretto anche The Entire History of You, il terzo e ultimo episodio della prima stagione, dove mostra i rischi connessi alla fine della privacy.
Qui addirittura siamo in un futuro dove un impianto neurale (un elemento che tornerà spesso nelle nuove stagioni) impedisce di dimenticare qualsiasi ricordo: ma - come insegnava già Borges in "Funes el memorioso" - ricordare tutto è una terribile maledizione, e le foto di quella festa del liceo vi torneranno contro quando sarete CEO di una importante multinazionale, per esempio. Insomma, una serie forse non per tutti i palati e non per tutte le fasce di età, naturalmente, ma in grado di stimolare riflessioni brillanti e necessarie, in una società futura dove sempre di più la realtà sarà interconnessa in modo determinante al mondo dei social network: un mondo all'apparenza virtuale ma in verità molto, molto reale.
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