"Non si giudica un libro dalla copertina", è un proverbio dal contenuto incontestabile ma è anche vero che sulle pareti di casa nostra fanno bella mostra poster, cover o manifesti di opere che abbiamo amato, anche se non sono tutte quante universalmente considerate dei capolavori.
Alcune di esse magari poi non sono nemmeno tra i nostri film o dischi preferiti, ma le immagini rimangono lì esposte, semplicemente perché visivamente ci piacciono. Dietro al lavoro di una locandina ci sono arte e commercio, ispirazione e commissione.
Siamo nel mondo dell'intrattenimento e il "prodotto" deve essere accattivante, e la bravura del cartellonista sta nel muoversi tra quello richiesto da chi deve vendere il film, e la propria arte e immaginazione, votata a valorizzarlo al meglio. Raccontare senza dire più di tanto, attirare la nostra attenzione e guidarci nella visione. Spiegava molto bene questo aspetto Renato Casaro nelle rubriche in cui raccontava una vita di locandine realizzate, spiegandoci dettagli e aneddoti su come avessero preso vita.
Casaro, uno dei cartellonisti più celebri della storia del cinema è mancato martedì 30 settembre. Ha raccontato coi disegni quasi un secolo di pellicole, dai Peplum anni 50', in molti casi film che valevano molto meno della locandina che Casaro creava, tornendo torsi e volti, ricamando vesti d'epoca che promettevano visioni di grandi storie lontane, poi disilluse dalla narrazione. Ai blockbuster di Hollywood e al cinema che ha fatto la storia.
Il segno bianco rosso a sulla guancia di Kevin Costner ben visibile nella locandina di "Balla coi lupi" sono opera sua, come i manifesti di "Amadeus" e "L' ultimo imperatore" per citarne alcuni. E i volti di Stallone, di Clint Eastwood e Schwarzenegger per illustrazioni che dovevano sbancare al botteghino. E poi tantissimo cinema nostrano, le commedie di Verdone e Celentano e gli spaghetti western di Leone. Molti dei suoi ritratti sono dei veri e propri capolavori che vivono di luce propria, capaci di raccontare molto di più di quello che a un normale manifesto viene richiesto.
Renato Casaro è nome che dice poco ai non fanatici di cinema, ma idealmente tutti quanti abbiamo assistito ad una sua mostra: in coda alla biglietteria delle sale o passando in rassegna nei negozi articoli che non possono mancare nella nostra videoteca. Il suo stile grafico è inconfondibile: le espressioni e le pose insolite, alcun diventate iconiche. Guardare per questo il ciclo dei western da "Il buono il brutto il cattivo" a "Lo chiamavano Trinità", fino tutta la serie di manifesti per i film della coppia Bud Spencer e Terence Hill. Volti, come i loro, entrati nel nostro immaginario, un pochino grazie anche a Casaro, capace di riprodurne fedelmente la mimica: giocando con la fisicità, fino ad estrapolare l'anima dell'interprete ritratto, in un modo che l'intelligenza artificiale non è ancora capace di riprodurre.
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