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24 Luglio 2025 - 08:43
Ego smisurato e caduta di stile. Oppure semplice rivalità e divergenze artistiche. È dura, nella selva dei fuochi incrociati del cinema d’autore, per noi poveri mortali, districarsi in certe audaci dichiarazioni di avversione, espresse da mostri sacri nei confronti di altri mostri sacri. È un discorso diverso dal giudizio espresso da un critico di professione, motivato e personale. Sono accuse mosse a un collega, spesso gratuite, eclatanti, e usate alle volte solo al fine di offendere. Per noi appassionati, risulta paradossale sentire additati maestri del genere, come esecutori di un cattivo cinema, soprattutto se l’accusa parte da chi viene considerato universalmente suo pari in grandezza. Come se il disprezzo verso qualcuno, possa essere un sentimento troppo basso per intaccare menti tanto artisticamente illuminate. D’altronde è anche vero che le grandi personalità siano destinate a scontrarsi. E uno scontro vero e proprio è avvenuto tra Luchino Visconti e Federico Fellini in occasione della Mostra cinematografica di Venezia 1954, dove, la leggenda vuole, la cerchia di affezionati dei due registi sia venuta praticamente alle mani, quando la giuria ha preferito assegnare il consolatorio Leone d’argento (quello d’oro andò a Giulietta e Romeo di Castellani) a “La strada” del regista romagnolo invece che a “Senso” di Luchino. Lo screzio tra i due è proseguito per decenni, con feroci critiche rispettive, e per mezzo di piccoli dispetti, col celebre caso di Claudia Cardinale contesa sui set di “Il Gattopardo” e “Otto e mezzo” costretta per “esigenze” sceniche a ritingersi i capelli ogni giorno per soddisfare gli intransigenti registi. Nelle liti, spesso a pagare è chi non c’entra niente. Altri tempi comunque, e altra comunicazione oggi dove parole di fuoco, lanciate da una sala stampa o da un tweet piovono sui malcapitati colleghi ovunque essi siano. Ai “poveri” Spike Lee, Spielberg e Tarantino devono fischiare parecchio le orecchie: mandati letteralmente all’inferno da non pochi colleghi, forse invidiosi del successo di film considerati un po’ troppo sbrigativamente come spazzatura.
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