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Se "One Piece" guida la Flotilla globale

Il cartone animato di Oda viene ripreso dalle proteste globali contro il genocidio palestinese, in un processo di risignificazione culturale.

Se "One Piece"  guida la Flotilla globale

Negli ultimi mesi, l’immaginario di One Piece ha superato i confini del manga e dell’anime per diventare simbolo politico e culturale. In particolare, la bandiera con il Jolly Roger della ciurma di Monkey D. Luffy è stata adottata in manifestazioni di solidarietà con la Palestina - lo si è visto anche ieri, 3 ottobre, a Cuneo - trasformandosi in emblema di resistenza contro l'oppressione israeliana. Non è la prima volta che un’opera di finzione diventa riferimento globale: a metà anni 2000, dopo il fortunato film sceneggiato dalle sorelle Wachowsky, la maschera di Guy Fawkes di V for Vendetta (inizialmente scritto da Alan Moore nei primi anni 80) divenne l'icona delle proteste anti-establishment, dal movimento Occupy Wall Street alle Primavere arabe.

Oggi, il vessillo dei pirati cantati da Giorgio Vanni sembra raccogliere la stessa eredità.

La bandiera di "One Piece" al corteo di Cuneo il 3 ottobre

La bandiera di "One Piece" al corteo di Cuneo il 3 ottobre

Per capire il senso di questa rilettura simbolica, è utile ricordare che One Piece, creato da Eiichirō Oda nel 1997, racconta similmente di una forte contrapposizione, in un mondo ormai interamente marittimo con poche isole, tra un potere centrale tecnocratico, il Governo Mondiale e la sua Marina Militare, cui si contrappone la pirateria. Il tema dei pirati come simpatici mascalzoni, ribelli allo strapotere delle flotte che pretendono di dominare il mondo, non è del tutto nuovo, ma lo troviamo già in tutta la letteratura marinaresca, che dall'Ottocento romanticizza l'idea del pirata, incluso il nostro torinese Emilio Salgari e il suo eroico Corsaro Nero e affini, o il Capitano Nemo di Jules Verne, principe indiano in lotta contro l'arroganza coloniale anglosassone.

La bandiera con il teschio, allora, diviene picaresca dichiarazione di indipendenza, rifiuto della tirannia, rivendicazione del diritto a scegliere il proprio destino. E "One Piece" ne diviene la rilettura nell'era della egemonia culturale del fumetto e dell'animazione nipponica, aggiungendo un forte elemento fantastico (la diffusione di individui, dai due lati, dotati di superpoteri generati dai "Frutti del diavolo") ma restando fedele all'archetipo narrativo di fondo. Il Jolly Roger di Luffy non è più soltanto un logo: è diventato un linguaggio universale per esprimere dissenso, immaginare libertà, dare volto a una ribellione che si muove dal Giappone al Medio Oriente.

E forse è proprio questo l’aspetto più coerente con lo spirito di One Piece. Perché “One Piece”, il tesoro che dà nome alla saga, resta volutamente sfuggente, mai del tutto definito. Oda sembra suggerire che la ricchezza vera non sia nell’arrivo, ma nel viaggio: nell’amicizia, nella lotta, nell’idea di inseguire un sogno impossibile. È in questo spazio di utopia che la bandiera di Luffy trova oggi nuova vita: non come segno di pirateria, ma come promessa di libertà.

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