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L’aspro odor del vino: San Martino e il rito della vinificazione contadina

Ogni anno, puntuale come il raffreddore d’autunno e le castagne bruciate, arriva San Martino

L’aspro odor del vino: San Martino e il rito della vinificazione contadina

Ogni anno, puntuale come il raffreddore d’autunno e le castagne bruciate, arriva San Martino. E con lui, come cantava Carducci, l’aspro odor del vino che si insinua per le vie del borgo, rallegrando le anime e intossicando i nasi. Ma dietro quel profumo poetico si cela una realtà concreta: la vinificazione. Un tempo, quel profumo era familiare anche nei centri cittadini, oggi è raro sentirlo, ma qualche appassionato resiste. Sono pochi, temerari e devoti, che con passione e dedizione continuano a fare il vino in casa. I risultati non sempre sono eccellenti, ma hanno il pregio dell’autenticità: un vino contadino, imperfetto ma sincero, con un’impronta unica. Fare il vino è un rito che si tramanda, un gesto che unisce tecnica e tradizione.

Il Comizio Agrario di Mondovì rappresenta il punto di riferimento per chi cerca consigli: dalla valutazione del mosto — grado zuccherino e acidità — alle azioni da intraprendere per una corretta fermentazione. In quel contesto le discussioni con i produttori sono animate, spesso divise tra il responso tecnico e l’approccio tradizionale del tipo “Abbiamo sempre fatto così”. Eppure, anche semplificando, ci sono passaggi fondamentali da rispettare. La cantina deve essere isolata, fresca, arieggiata e pulita: niente salami appesi, cassette di verdure o attrezzi vari. Dopo la pigiatura, si controlla il grado zuccherino con il mostimetro Babo: il valore moltiplicato per 0,62 dà una stima del grado alcolico. Qualche cucchiaio di metabisolfito va sempre aggiunto: aiuta la fermentazione e favorisce il deposito delle fecce. Le follature devono essere frequenti, per ossigenare il mosto, e se la temperatura scende sotto i 15 gradi, è bene scaldare l’ambiente. Dopo alcuni giorni, arriva il momento della spillatura, passaggio delicato che può diventare occasione conviviale, magari accompagnata da una merenda tra amici. Le vinacce vanno passate al torchio e il prodotto sistemato nelle botti, preparate con cura. Attenzione alla colmatura: il vino continua a fermentare e va seguito con pazienza.

Il freddo autunnale e invernale favorisce il deposito delle fecce, che saranno rimosse con il primo travaso, intorno a Natale. Ma già ai Santi, a inizio novembre, ci sta un primo assaggio: vino giovane, dal sapore ancora dolce e acidulo, ma dal profumo vinoso e gradevole. Da gustare con moderazione, magari con una fetta di polenta e una manciata di castagne. A fine inverno si procede con il primo check: esame completo di acidità totale e volatile, pH, alcol e zuccheri residui. Il referto del laboratorio del Comizio è oggetto di valutazione, a volte impietosa. Se i parametri sono sballati, non ci sono rimedi. Si fa esperienza, che — come si sa — è la somma degli errori.

Se tutto quadra, si pensa all’imbottigliamento. Con la luna giusta, per chi ci crede. Sempre in una bella giornata. Dopo qualche giorno o settimana, si stappa la prima bottiglia, accompagnata da un giudizio riferito all’anno precedente: meglio, peggio… comunque sempre: prosit. Fare il vino in casa è una sfida, un atto d’amore, un modo per celebrare la terra e il tempo. È il modo in cui il borgo si riempie di quell’aspro odor del vino che Carducci cantava, e che noi oggi celebriamo con un brindisi, un canto, una risata… e se si eccede con un po’ di mal di testa.

Bartolomeo Bovetti (ex direttore Associazione allevatori) 

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