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Cos'è il libero arbitrio? Il magnifico quadro di Franco S. Alessandria diventa una scultura

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Che cos'è il libero arbitrio? Siamo sicuri di essere davvero liberi di agire, nella società di oggi? E' più comodo e meno "doloroso" stare al proprio posto, sopportare gli schemi e i "paletti" che, inconsapevolmente o meno, ci vengono imposti, oppure dobbiamo trovare la forza di ribellarci, di alzare la testa, di "staccare" i chiodi che ci tengono ancorati a terra, pur se ogni cambiamento può essere anche molto doloroso?
Sono questi alcuni degli interrogativi esistenziali che l'ultima opera di Franco Sebastiano Alessandria pone all'osservatore. "Libero arbitrio sofferto", uno dei quadri al quale il "maestro delle chiavi" è più legato, prende vita e diventa una scultura a grandezza naturale. Nell'insieme, ferro e malta cementizia si fondono, dando origine ad un uomo sofferente, in canottiera, "un povero diavolo" inchiodato a terra, costretto a stare al suo posto, convivendo con il peso di una massiccia putrella infilzata nello stomaco. Al posto della testa, una grande e antica serratura si spalanca e lascia uscire i pensieri, che prendono la forma di un cavallo (nel dipinto sono invece farfalle), finalmente libero di correre dopo lunga prigionia. I piedi affondano in un labirinto di sotterfugi, interessi e giochi di potere, in un mondo in cui nulla è ciò che sembra veramente. La mano sinistra, leggera dopo essersi staccata dai cliché che ci condizionano l'esistenza, apre la mente. La mano destra invece resta avidamente ancorata al denaro.
«Non esiste una precisa definizione di "libero arbitrio", un concetto anche filosofico e teologico sul quale praticamente da sempre si interrogano i pensatori di tutto il mondo – spiega lo scultore –. Vi presento oggi questa mia opera, alla quale sono molto legato. Ho provato emozioni forti mentre la creavo. Credo che, per ognuno di noi, il libero arbitrio possa essere un concetto differente. Per me è questo: la necessità di prendere le distanze dal pensiero comune, dalle frasi fatte, dalle situazioni preconfezionate. Stare zitti e buoni nel posto dove ci dicono di stare può essere anche scomodo, può non piacere, ma alla fine ci consente di crearci comunque una zona di comfort, una gabbia dorata. Uscire dagli schemi, "staccarsi" i chiodi dalle mani e dai piedi per tornare a camminare da soli invece è sicuramente doloroso, ci fa sanguinare, urlare di dolore. Questo è il prezzo della libertà, quella vera».
 
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