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Come una pietra che rotola su carta

La vita vagabonda del fumetto underground americano

Come una pietra che rotola su carta

Underground Comix

"How does it feel / To be without a home / Like a complete unknown / Like a rolling stone?"

Quando Bob Dylan canta questi versi nel 1965, qualcosa si è rotto (o si è aperto?) nel cuore dell’America. È il suono di una porta che sbatte in faccia all’illusione del sogno americano, e insieme l’eco di una generazione che sceglie di vivere ai margini, in fuga dalle case ben pettinate del benessere e dell’omologazione. Una vita da “rolling stone”, da pietra che rotola: senza direzione, senza radici, ma anche finalmente libera.
Quella stessa vibrazione sotterranea — anarchica, sarcastica, disperata — pochi anni dopo prenderà forma disegnata nelle pagine giallognole e psichedeliche dei comix underground, che rivoluzioneranno il linguaggio del fumetto. Il fumetto underground nasce nel ventre di un’America disillusa, nel pieno della guerra in Vietnam, delle lotte per i diritti civili, dell’esplosione psichedelica. Se Dylan, con “Like a Rolling Stone”, sputava in faccia alla borghesia con una ballata elettrica e tagliente, Robert Crumb e soci fanno lo stesso con la matita.

Del 1964 è la prima fanzine ciclostilata di Gilbert Shelton; nel 1968, Crumb pubblica il primo numero di Zap Comix: grottesco, osceno, irriverente. Niente più supereroi: solo nevrosi, droghe, sesso, critica sociale e libertà assoluta. I suoi personaggi — come il lisergico saggio Mr. Natural o il marpione Fritz the Cat — sono la risposta disegnata al vagabondaggio esistenziale di Dylan: figure senza patria né morale, che rotolano nel caos urbano come pietre fuori posto. Lo stesso anno, i Fabulous Furry Freak Brothers di Shelton incarnano il lato più slapstick e disilluso della controcultura: tre hippie tossici, fannulloni, perennemente in fuga dalla società per bene. Come Dylan, anche loro non offrono soluzioni. Non predicano: si limitano a sopravvivere con sarcasmo in un mondo che non li riconosce.

L’innovazione del fumetto underground non è solo tematica: è anche estetica e produttiva. Pubblicati in autoproduzione o da piccole etichette indipendenti, stampati in serigrafia, venduti nei negozi di dischi o per strada, questi fumetti rifiutano ogni mediazione editoriale. La narrazione lineare viene stravolta, il disegno abbandona la “pulizia” dell’industria e si fa acido, sporco, istintivo e “cattivo”. Come Dylan infrange la forma tradizionale della canzone folk così gli autori underground decostruiscono il formato del fumetto come educato genere per bambini e ragazzi, tramutandolo in un amorale specchio deformante della realtà.

Essere “like a rolling stone” è una condanna e una liberazione: per Dylan e gli underground comix: privo di coordinate, fuori mercato, senza “casa” ideologica, ma proprio per questo vivo, esplosivo, necessario. Il vagabondaggio diventa scelta estetica e politica: un modo per sopravvivere al disincanto senza farsi inghiottire. E se oggi certi temi, certi stili e certe libertà ci sembrano acquisiti nel fumetto contemporaneo — dal graphic novel d’autore fino ai webcomics più alternativi — lo dobbiamo anche a quella generazione di autori che, come Dylan, preferì perdere tutto pur di non appartenere a nulla.

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