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Dall'arte all'algoritmo: come l'Ia ha cambiato il mondo dell'illustrazione

L'intelligenza artificiale applicata nell'ambito delle arti visuali fa meno scalpore, ultimamente, ma continua a svilupparsi e a trasformare la concezione dell'arte. E, naturalmente, erodere posti di lavoro.

Il Caleidoscopio Aristotelico

Negli ultimi due anni l’uso dell’intelligenza artificiale nel campo dell’illustrazione si è normalizzato con una rapidità impressionante. Se agli esordi le immagini generate da algoritmi apparivano era esperimenti affascinanti nella loro bizzarria (i dipinti ad olio in stile rinascimentale o barocco con figure dalle braccia infinite, dalle mani a sei o più dita), oggi fanno parte integrante del panorama visivo e professionale. Come spesso accade, la rivoluzione si è fatta quotidianità, con la velocità dei nostri tempi accelerati.

Come nota Francesco D’Isa ne La rivoluzione algoritmica delle immagini, «questi strumenti si stanno diffondendo con una velocità molto elevata e il loro potenziale di sviluppo sta sia nella qualità sia nella velocità». L'autore sostiene che la AI è qualcosa di radicalmente altro: «Se vogliamo limitare i danni delle macchine, non dobbiamo renderle più umane, ma più disumane»

Molti illustratori, anche tradizionali, hanno imparato a usare l’IA come strumento, magari senza dichiararlo apertamente. Generano bozze, testano composizioni, esplorano centinaia di esercizi di stile attraverso il prompting, per poi intervenire sul materiale grezzo per personalizzarlo fino a renderlo indistinguibile, almeno a un occhio poco esperto. La consapevolezza nell'uso è cresciuta di pari passo con la qualità delle piattaforme di generazione: da Midjourney ai vari DALL·E, fino a Sora, gli strumenti si sono potenziati incredibilmente rendendo immagini di un paio di anni fa una sorta di antiquariato postmoderno (con gli amici ogni tanto andiamo in un bar monregalese che ha arredato il locale con Stampe AI, ed è affascinante come siano, rapidamente, invecchiate malissimo).

Mi pare affascinante che l'idea di una macchina in grado di costruire opere d'arte sia nata per certi versi non lontano da noi. Già nel Seicento, il fossanese Emanuele Tesauro, nel suo Cannocchiale Aristotelico (1654), teorizzava un sistema per combinare metafore secondo regole logiche e meccaniche, ispirandosi allo stile di Giovan Battista Marino, il nome di prestigio della corte sabauda a Torino di cui anche Tesauro faceva parte. Nel frontespizio, è ovviamente omaggiata la musa della scrittura, ma anche la Pittura, intenta a realizzare un anamorfosi come quelle in cui eccelse il nostro Andrea Pozzo pochi decenni dopo: le metafore ingegnose che la macchina di Tesauro genera sono utili anche ai concettosi pittori barocchi.

Un dispositivo concettuale che anticipava, in forma retorica, ciò che oggi fanno gli algoritmi generativi: produrre nuove immagini attraverso la ricombinazione di elementi esistenti. Anche Jonathan Swift, nel suo I viaggi di Gulliver (1726) inserisce all'Accademia di Lagado una macchina che sembra figlia di quella - solo concettuale - di Tesauro: «una macchina venti piedi quadrati, posta al centro della stanza… i giovani si muovono attorno a maniglie, le parole vengono rimescolate sui blocchi di legno, e dove si trovano tre o quattro parole insieme che possano costituire una frase, vengono dettate agli scrivani».

Se quindi ormai l'AI è qui per restare, ciò non è senza problemi, in ogni campo, anzi. I lavori “entry level”, un tempo riservati a giovani illustratori – copertine, vignette editoriali, concept rapidi per pubblicità o videogiochi – sono oggi facilmente sostituibili da sistemi di generazione automatica. In Cina il settore del game art ha registrato un calo di circa il 70% delle posizioni di base dopo l’introduzione massiva di IA. Nel Regno Unito, un’indagine di Design Week ha rilevato che il 26% degli illustratori ha già perso commesse a favore di immagini generate, mentre il 37% ha visto ridurre i compensi. La contrazione è globale, e tocca soprattutto quella fascia di professionisti che costituiva il serbatoio di ricambio del mestiere.

E, ovviamente, la AI non è priva di problemi legali, anche se ultimamente ferve anche la ricerca per superare la questione con modelli inattaccabili almeno sotto il profilo formale (ancora lontani. I dataset spesso sono costruiti senza consenso: una recente ricerca, intitolata Copying Style, Extracting Value, mostra come molti illustratori vedano nell’imitazione automatica del proprio stile una forma di esproprio più che di omaggio. Non a caso, secondo un sondaggio internazionale, il 74% degli artisti giudica l’arte generata dall’IA «eticamente problematica».

Il rischio principale a tutti i livelli è quello di continuare la “banalizzazione dell’immagine” già in corso da tempo con la sua sempre maggiore saturazione postmoderna (indotta dalla sempre maggiore "riproducibilità tecnica" tramite la tecnologia teorizzata da Walter Benjamin): se il criterio di scelta diventa solo la velocità o il prezzo, il linguaggio visivo rischia di appiattirsi.

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