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18 Novembre 2025 - 18:05
Lungo il percorso che porta dalle prime interfacce testuali ai moderni sistemi di intelligenza artificiale, poche parole hanno compiuto un viaggio così curioso e significativo come “prompt”.
Il termine, stando all'Oxford Dictionary, viene introdotto nell'inglese verso il 1425, deriva dal latino "promptus" da cui anche il nostro "pronto". In inglese ha anche la sfumatura di “spinta”, “stimolo”, “invito all’azione”, e da qui nel Novecento era nato il suo uso in linguistica per indicare un suggerimento che aiuta qualcuno a proseguire un discorso (proprio come il "pronto" telefonico, in fondo).
Diventa un termine comune nell'informatica popolare nei primi anni Ottanta, coi primi Personal Computer, dove il prompt era il simbolo dell’interazione tra l’utente e la macchina. Sullo schermo nero dell’MS-DOS di Bill Gates, il prompt lampeggiante attendeva un comando dell’operatore, pronto a eseguire istruzioni rigorose, sintetiche, secondo un linguaggio codificato e bloccato.
Con l’avvento delle interfacce grafiche degli anni Novanta, Windows in primis, il prompt sembrò scomparire, almeno nell'uso dell'utente comune. Le finestre e i menu grafici, apparsi nel MacIntosh della Apple già nel 1984, vennero ripresi anche su PC, semplificando ulteriormente l’uso del computer.
Ma proprio questo aspetto testuale, dato per superato, è riemerso in modo inatteso col boom dell’intelligenza artificiale generativa nel 2022. Oggi il prompt è tornato a essere centrale, in forma però di frase in linguaggio naturale, con cui è possibile guidare modelli di AI sempre più sofisticati.
In questa relazione rinnovata, spesso si parla di “prompt engineering”. Se infatti l'uso delle AI è semplicissimo, grazie al linguaggio naturale, è invece non semplice ottenere l'esatto risultato che vogliamo, e ancor più, forse, un risultato originale. Inoltre, gli utilizzatori di AI ai fini professionali devono in qualche modo giustificare il proprio ruolo, presentandosi come raffinati "Prompters" in grado di ottenere risultati più sofisticati grazie alla conoscenza del programma e della sua ricezione linguistica. Da un lato, può essere una strategia auto-promozionale (e, in generale, la speranza dell'umanità di riservarsi un minimo ruolo in una età sempre più dominata dalla macchina). Per contro, però, è vero che la scelta, disposizione, sintassi delle parole producono risultati parzialmente diversi, e che solo un prompt dettagliato può produrre un risultato più accurato.
Personalmente concordo con la posizione espressa da molti artisti tradizionali: il "prompter" non è comunque un autore, può essere paragonato a un committente che assume (pagandola o meno, a seconda del servizio) l'AI per realizzare un lavoro grafico (o testuale, o di altro tipo). Quanto più le sue indicazioni sono precise, quanto più il risultato è migliore e accurato.
Il ritorno del prompt segna così una sorta di cerchio che si chiude. Dalla riga di comando spartana degli anni Ottanta alla conversazione naturale degli anni Duemilaventi, il dialogo con la macchina continua a evolvere, ma conserva un elemento centrale: la necessità di trovare le parole giuste per farsi capire.
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