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Sono stati tutti condannati gli imputati per la morte sul lavoro di Daniele Peroncelli

L'elettricista morì a 32 anni in un capannone di Busca. La pena più alta ai due imprenditori che commissionarono i lavori: dovranno risarcire la famiglia

Sono stati tutti condannati gli imputati per la morte sul lavoro di Daniele Peroncelli

Daniele Peroncelli viveva a Busca con la moglie Stefania Cuniberti (monregalese) e la loro bimba Marta

Sono tutti responsabili di omicidio colposo, per il Tribunale di Cuneo, i quattro accusati per la morte di Daniele Peroncelli. Il giudice Marco Toscano ha condannato alla pena più alta, due anni di reclusione, i due titolari della Im. Q, una ditta di installazione impianti, che aveva commissionato all’elettricista buschese un lavoro all’interno di un capannone della Trae, azienda di autotrasporti locale.

Profili di colpa sono stati rilevati anche in capo al titolare della Trae, D.B., condannato a un anno e quattro mesi, e a un imbianchino, S.B.: quest’ultimo era il proprietario della piattaforma di sollevamento su cui Peroncelli trovò la morte. Per lui la pena è di un anno di reclusione.

L’elettricista era stato chiamato a sostituire alcune lampade sul soffitto di un capannone in costruzione. Non potendo raggiungerlo con una scala, si era servito del mezzo lasciato incustodito dall’imbianchino, pur non essendo abilitato a guidarlo. A otto metri di altezza, una manovra errata aveva provocato l’urto con una capriata del soffitto, da cui erano scaturiti il trauma cranico e altre lesioni fatali.

«Per otto ore Peroncelli è stato su quella piattaforma e nessuno è intervenuto» ha rilevato il sostituto procuratore Alessia Rosati: «Il pregresso – ha aggiunto – è prova della grave colpa di Im. Q. Anche per le commesse precedenti non c’era stata nessuna verifica sul fatto che Peroncelli avesse un’abilitazione e sull’uso di dispositivi di protezione individuale».

La scarsa attenzione alla formazione e alla sicurezza sarebbe stata addirittura uno dei motivi per cui l’elettricista si era allontanato dall’azienda, per cui aveva lavorato fino a poco tempo prima di mettersi in proprio: «Si deve escludere che Peroncelli si sia "appropriato" della piattaforma e delle sue chiavi, perché in Im. Q era prassi affidare lavori in quota a dipendenti o lavoratori non abilitati, e perché è emerso che era prassi anche in Trae o comunque era già accaduto il giorno prima».

In Im. Q nessuno risultava abilitato per quel genere di mansioni. Il nominativo di Peroncelli, in ogni caso, non era stato nemmeno indicato sul cantiere. Alla Trae, l’accusa imputava di non aver controllato: «Forse sapeva benissimo che a lavorare c’era Peroncelli, conosciuto da tutti a Busca». In paese il 32enne viveva con la moglie Stefania Cuniberti (monregalese) e la loro bimba, Marta. Era stato membro della Pro Loco di Bosco di Busca, la frazione di cui era originario, nonché attivista e candidato del Movimento 5 Stelle alle comunali.

Anche la parte civile, rappresentata dall’avvocato Vittorio Sommacal, si è soffermata soprattutto sulle responsabilità della Im. Q, unica tra le imprese a non aver risarcito la famiglia prima del verdetto: «Da parte dell’azienda non c’è stata collaborazione con lo Spresal» ha evidenziato il pm.

LE DIFESE

Le difese avevano sostenuto per contro che le responsabilità andassero addebitate a un «atteggiamento sbrigativo» e a una «violazione dei più elementari canoni di prudenza» da parte del lavoratore. La condotta dell’elettricista sarebbe stata «impropria e abnorme», tale da assumere in proprio «un rischio non consentito e quindi non prevedibile dal datore di lavoro».

Nell’udienza ha parlato il proprietario del carrello: «Non ho concesso a nessuno l’uso della piattaforma e nessuno mi ha chiesto di poterla usare – ha detto –. Mi sarebbe servita quello stesso giorno per iniziare i lavori di ritinteggiatura».

I due soci della Im. Q dovranno pagare anche un’ammenda pari a 10 mila e 6 mila euro rispettivamente, più il risarcimento dei danni alla famiglia in separato giudizio. Nei loro confronti il giudice ha stabilito fin d’ora una provvisionale, 50 mila euro da versare alla vedova e altrettanti per la piccola Marta, che perse il padre ad appena due anni, nel gennaio 2020: la sospensione della pena detentiva è subordinata al pagamento. Erano parti civili anche la madre e la sorella della vittima, a loro volta destinatarie di una provvisionale.

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