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Il CUAV: Centro per uomini autori di violenza

Oltre 150 contatti in due anni: «Il 90% segue il percorso fino in fondo»

Il CUAV: Centro per uomini autori di violenza

Il percorso si chiama, non casualmente, “Men in progress”: imparare a essere “uomini”. Per demolire, fin dal nome, quello stereotipo del “vero uomo”, l’uomo forte, quello che esige, quello che si impone. Ecco: anche basta.

L’ente che lo porta avanti è il CUAV, Centro per uomini autori di violenza, nato nel 2023 dalla cooperativa sociale “Fiordaliso”. «In due anni abbiamo avuto contatti con circa 150 soggetti – ci dice Nicola Mellano, responsabile CUAV –. E il 90% di questi ha seguito il percorso, fino in fondo. Tredici anni fa “Fiordaliso” era un soggetto pionieristico in questo ambito. Oggi credo che il lavoro più grande da fare sia quello di… passare alla fase successiva: prevenire». Perché? «Perché viviamo in un sistema culturale che ha normalizzato certi stereotipi. E vanno decostruiti».

Al CUAV vengono indirizzati gli uomini denunciati e condannati, per violenza e stalking. Il percorso di recupero, per molti, è anche un incentivo: significa una pena minore, misure meno restrittive. Il percorso dura 60 ore, spalmate nel corso di un anno. «C’è un elemento che contraddistingue quasi tutti gli uomini che iniziano con noi: non sono consapevoli di ciò che hanno fatto. Vale per qualsiasi contesto culturale sociale, economico».

L’inconsapevolezza significa una cosa chiara: che atteggiamenti come la prevaricazione, l’oppressione, la violenza non erano percepiti come gravi. Erano, insomma, la loro normalità: un “normale rapporto” con la donna. «La nostra società è fatta di condizionamenti culturali, sono parte della nostra storia: per queste persone la violenza è un “normale” strumento per esercitare la loro posizione. Le dinamiche celano sempre una relazione di potere: maggiore per l’uomo, sulla donna. Tendono a de-responsabilizzarsi… e a colpevolizzare la donna: “Era lei a provocarmi”, “Era lei a non rispettarmi”, eccetera. Anche dopo la sentenza di condanna, questa consapevolezza manca: e va acquisita».

E come si arriva alla consapevolezza? «I nostri percorsi sono psico-educativi. Una volta che il soggetto si è smarcato da altre problematiche, come le dipendenze, si iniziano i colloqui: si utilizza la tecnica del “linguaggio cinematografico”, o “teatrale”, per aiutare i soggetti a proiettare, a vedere i propri atteggiamenti “dal di fuori”. E poi capire che quegli atteggiamenti erano i loro. Sono fondamentali i colloqui di gruppo. Sa cosa emerge, quasi sempre? Gli uomini apprezzano di avere finalmente un luogo per poter “parlare di sé”».

Certo, il dato sembra grande… ma è la punta dell’iceberg. Mellano: «Vero. Però, da qui, si può partire a… scoprire l’iceberg un poco alla volta. E fare prevenzione. Dove? Lavorando con chi non è ancora denunciato, ma oggetto di ammonimento. O magari coi mediatori famigliari nel momento delle separazioni, o coi Servizi sociali. C’è tanto da fare».

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