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03 Settembre 2025 - 12:18
Ha fatto tappa anche a Vicoforte il ciclo di presentazioni organizzate dall'Unione nazionale Comuni Comunità Enti Montani e dedicato al Rapporto montagne 2025, la fotografia dei Comuni montani e delle terre alte. Un dossier di oltre 800 pagine, pieno di spunti di riflessione e strategie per il futuro di una terra complessa come quella della montagna. Niente catastrofismo né vittimismo, è l'appello dell'Associazione, che nel suo dossier presenta dei dati in controtendenza rispetto al "comune sentire" o al livello del dibattito a cui si è assistito negli ultimi mesi
«Intanto dobbiamo smetterla di parlare di spopolamento. – l'esordio di Marco Bussone, presidente nazionale dell'Uncem – di eroismo, di marginalità, di aree interne. Come si fa a definire cosa è più interno e cosa più esterno da un centro? La parola spopolamento l'hanno usata anche i vescovi rispondendo al Ministro Foti sulla polemica assurda emersa recentemente. Nel rapporto il saldo migratorio fa emergere 100.000 persone che sono venute a vivere e lavorare in montagna. Il saldo naturale è che si nasce di più e si muore di meno, come in tutta Italia. Però il saldo migratorio rappresenta i flussi, le teste, le idee che si muovono. 100.000 nuove persone: presentando il rapporto a Ormea ci hanno chiesto: "Ma dove sono sti 100.000 che vediamo solo i funerali?". A fine incontro dando la parola ai presenti si è scoperto che due erano lì dopo essersi trasferiti da Roma. Così in altri casi. In un Comune abbiamo riscontrato il caso di uno che si è fermato a telelavorare da uno zio e ci è rimasto per un mese, arrivava da Frosinone. È gente che magari non ha spostato la residenza, ma che lavora in una comunità montana e ne diventa parte, investendo tempo fatica e risorse. Questo è un pezzo di quello che racconta questo rapporto, togliendo di mezzo la vecchia narrazione».
Tra il 2009 e il 2013 le comunità territoriali erano state investite da un flusso di immigrazione di medio-lungo raggio di popolazione straniera, con l'ingresso di oltre 150.000 immigrati. Si è compensato coì il flusso in uscita di 110.000 cittadini italiani. Tra il 2014 e il 2018 l'afflusso di popolazione straniera si raffredda e scende a meno di 60.000, un terzo del periodo precedente. Tra il 2022 e il 2023 dopo la pandemia torna positivo il saldo tra ingressi e uscite in montagna, con dimensioni più significative di quanto registrato in passato. Si parla di più del 12 per milla della popolazione, una ripresa chi si riflette in modo diseugale sul territorio: il 65% delle comunità si collocano in territorio positivo, 136 con valori molto positivi, oltre al 20 per mille. Elemento che denota una frattura rilevante tra le regioni del nord e del centro.
Il tasso di occupazione della Montagna, 38,5% è significativamente più basso della media nazionale (45%), il tasso di occupazione femminile, pari 34,5% per la montagna, è più vicino alla media nazionale, 37,9%.
Il tasso di disoccupazione della montagna è per gli uomini di 8,1% ed è allineato alla media nazionale (8,1%). La disoccupazione femminile è (11,3%) maggiore in montagna che per la media nazionale (10,6%).
La presenza di imprese nel territorio montano è significativa: 9,2 imprese per 100 abitanti. Le imprese artigiane sono il 27,4% del totale, in Italia il 24,6% Le imprese cooperative in montagna sono l’1,4% del totale; in Italia l’1,2%. Il 25,2% delle imprese della montagna hanno un titolare donna; in Italia il 22,7%. Il 9,4 % di imprese della montagna hanno un titolare giovane; in Italia l’8,4% Il 7,1% delle imprese della montagna sono straniere; in Italia l’11,7%.
La scelta di Uncem è stata di analizzare non singoli territori, ma aggregazioni territoriali, aree. «Ci sono numeri interessanti e positivi che ci dicono che ci sono giovani coppie che si trasferiscono e la terza età. Questo talvolta viene visto come un problema, il fatto di dover accogliere dei settantacinquenni, significa dover garantire welfare, ma avere famiglie giovani significa avere anche la necessità di assicurare scuole e assistenza all'infanzia» ha detto ancora Bussone.
L'appuntamento ha visto intervenire al tavolo dei relatori, oltre al sindaco di Vicoforte, Gian Pietro Gasco, il consigliere nazionale Uncem Sebastiano Massa, che ha ricordato la storia dell'associazione e il legame storico di Vicoforte con l'Associazione, il presidente di Uncem Piemonte, Roberto Colombero, il vicepresidente Anci Piemonte Michele Pianetta, il presidente della Provincia di Cuneo, Luca Robaldo, Il presidente dell'Unione montana del Mondolè, Adriano Bertolino.
Nel corso della presentazione sono stati diversi i temi sollevati dai relatori, inerenti anche al tema delle Unioni Montane e alla riforma della governance del territorio, attesa dalla Regione. «La fragilità non aiuta lo sviluppo dei territori. Le sfide di oggi non possono essere affrontate singolarmente bisogna trovare forme di collaborazione attrezzata e strutturata. Non aspettiamo la legge regionale, dobbiamo cominciare noi a muoverci sul territorio, organizzandoci – lo spunto di Roberto Colombero, presidente Uncem Piemonte – il rapporto mostra che i Comuni che dialogano e che fanno rete risultano più attrattivi».
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COMUNITÀ TERRITORIALE | POPOLAZIONE |
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Terre del Monviso | 16.075 |
Maira-Grana | 22.656 |
Valle Stura | 16.294 |
Alta Langa | 12.533 |
Valli Mongia e Cevetta - Langa Cebana - Alta Valle Bormida 1 | 5.142 |
Valli Mongia e Cevetta - Langa Cebana - Alta Valle Bormida 2 | 8.177 |
Valle Tanaro | 14.931 |
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Lungo e articolato, il discorso di Luca Robaldo, presidente della Provincia, ha toccato diversi temi dell'attualità: «Basta con la lamentatio e il vittimismo – ha esordito Luca Robaldo – Non ci aiuta. Condivido il vostro spunto di superare l'analisi sul singolo comune e ragionare in termini di territori. Credo che si dia una cartina di tornasole più precisa della realtà, i dati sono importanti. Cito il tema del traffico nella Valle Tanaro: abbiamo fatto uno studio con la Camera di commercio e abbiamo verificato quanti camion avevano necessità di svalicare. Abbiamo avuto numeri importanti, 250 viaggi giorno di aziende radicate sul territorio, che sono lì e fanno una fatica enorme a restarci»
«Ritengo – prosegue Robaldo – che si sia inveterata una macchina burocratica che porta a pensare che bisogna centralizzare i servizi nei centri, nei capoluoghi sempre più grandi, verso una nuova urbanizzazione. Lo vediamo dalle misure che non vengono fornite agli amministratori sull'assunzione di risorse umane. 7.200 uffici tecnici, ma quanti tecnici ci sono in quegli uffici? Nonostante tutti dicano che vogliono sostenere la montagna e le aree provinciali alla prova dei fatti sono sempre strapuntini, conquistati con enorme fatica. Siamo in una fase in cui il Ministero ci chiede il taglio dei dirigenti scolastici, è un avvio verso un taglio di servizi. Questi aspetti qua mi fanno dire che c'è un sistema non dettato dalla politica ma dalla macchina statale che porta a dire che da Perletto per i servizi bisogna andare ad Alba. Io penso che i servizi andrebbero diffusi sul territorio». «Confini certi nelle aree territoriali, chiarezza delle funzioni ripartite nei vari enti, e una dotazione di risorse umane sono le cose fondamentali» la conclusione di Robaldo.
«Un primo ministro inglese di fine Ottocento – l'intervento di Michele Pianetta, vicepresidente Anci – diceva che i politici usano i dati come gli ubriachi usano i lampioni: non per vedere dove vanno ma per appoggiarsi. In questo caso il rapporto fa il contrario: riesce a mettere in fila una serie di elementi che aiutano a decidere meglio. Abbiamo un problema: la capacità degli amministratori locali di partecipare alle decisioni delle comunità che si trovano ad amministrare. Come ha detto Mattarella: «Dobbiamo capire se vogliamo essere protagonisti o vassalli felici». Dove i flussi di popolazione dimostrano che quando ci sono investimenti infrastrutturali e scelte di coesione strategica anche i territori possono crescere si dovrebbe consentire agli amministratori anche di andare dietro a quei flussi sul fronte della governance. Abbiamo un problema di servizi che non ci sono nonostante il Piemonte sia la seconda regione per data center attivati. Questo dimostra che c'è una domanda di innovazione importante e investimenti, ma non ci sono i servizi sui territori perchè mancano le infrastrutture. Il piano banda ultra larga è stato un esempio emblematico di questo».
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