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11 Ottobre 2025 - 10:50
Non sembrano passati quarant'anni: la rivalità è palpabile. Tra Francesco Moser e Beppe Saronni c'è un magnetismo respingente, come quello di due calamite dai poli uguali che si accostano. Sul palco del Galà della Castagna d'oro va in scena, con la straordinaria conduzione di Marino Bartoletti, un'intervista a tre ciclisti, tutti vincitori del titolo iridato: Moser, Saronni e Alessandro Ballan, vincitore del campionato del mondo nel 2008, l'ultimo italiano a riuscirci.
A rubare la scena sono però i due grandi rivali, titolari del più grande dualismo sportivo dai tempi di Bartali e Coppi. Dal 1978 al 1986 i due furono cane e gatto, tra duelli, polemiche, sfide infinite e la gente si appassionò oltremodo alle loro imprese. Un'atmosfera che è tornata indubbiamente a rivivere al Palace, con un divertito Bartoletti a cercare di contenere i due assi del pedale e di tenere la conversazione sui binari della comprensibilità tra il pubblico. Tra i due c'è rispetto, correttezza ma pochissima diplomazia.
«Tecnicamente siete della stessa generazione, vi separano solo sei anni» l'esordio di Bartoletti.
«Però in quell'epoca sei anni facevano la differenza – puntualizza Saronni – non lo dico tanto nel quadro del confronto con Francesco, ma nella mia famiglia due fratelli con quattro anni di diversità hanno vissuto praticamente due generazioni diverse».
«Quando ho cominciato io c'erano ancora Merckx, Gimondi, Bitossi... – ricorda Moser – È stata una stagione difficile. Io ho sei anni di differenza con Merckx e lui sei anni con me. Mi ricordo una delle prime gare fatte con lui, una Freccia Vallona poi da lui persa perchè i belgi lo avevano messo un po' in mezzo. Ci davamo il cambio a stare a ruota, poi un belga è andato via solo e ha vinto. è stata la prima classica del nord che ho disputato»
«Io sono diventato professionista a 19 anni – il ricordo di Saronni –, all'epoca le regole della federazione fissavano a 21 anni il limite di legge, con un certo numero di punti. La legge è cambiata con il voto a 18 anni e sono riuscito a trovare una scappatoia. Quando sono passato nessuno mi diceva: "Sei giovane". Correvi con gli altri e nessuno ti regalava o ti perdonava niente per la giovane età».
«È sempre stato così – incalza Moser – io sono passato a 22 anni, perchè volevo fare le Olimpiadi, sono passato un anno dopo. Al passaggio però non è che ci hanno messo il tappeto rosso».
«Sì, ma avevi 22 anni, e io 19» la secca chiusura di Saronni, che ricorda la sua prima avventura da professionista e l'incontro con Felice Gimondi.
«Era il campionato italiano indoor. Si correva a eliminazione, ogni giro un corridore viene eliminato, ne restano due alla volata finale. Mi trovo a fare la volata finale con Felice Gimondi, che in quell'anno aveva vinto il Giro d'Italia. Non ho più pensato di essere vicino ad un grande: ho fatto la mia volata e ho staccato di una decina di metri Gimondi. Scendo dalla bici e invece di vedere sguardi felici trovo tutti atterriti: "Non così, dobbiamo andare a chiedere scusa a Felice". Così siamo andati da Gimondi, molto imbarazzato non sapevo cosa dire. Lui si girò e mi gelò: «Un po' più di rispetto giovane, me la pagherai!» In seguito con Gimondi si è creata una bella amicizia, ma lui in gara era molto duro».
Interpellato da Bartoletti, Ballan si è coraggiosamente sbilanciato: «Sono nato Saronniano, poi ho avuto Francesco come manager e adesso sono per lui».
«Si cambia! Nessuno è perfetto» ha chiosato Saronni con una risata. «Ballan ha vinto il campionato del mondo in Italia con un'unicità: Ballan e Cunego primo e secondo nella stessa squadra».
«La rivalità tra Francesco e Beppe è molto bella – ha detto Ballan – Giuseppe è più "attaccante", Moser tende a rispondere solo se stuzzicato. Parlando delle loro imprese a livello agonistico mi ha sempre colpito il fatto che andassero forti sulle gare in giornata ma poi hanno anche vinto il Giro d'Italia. Sono atleti estremamente completi, cosa che ad oggi sono pochissimi a poter fare».
Ricordando il torneo "Baracchi" corso in coppia scoccano le prime scintille: «Il Baracchi si correva a Bergamo, poi a Brescia, poi nuovamente a Bergamo e poi è stato portato a Trento. Saronni ha vinto una volta sola perché gliel'ho fatto vincere io» la stilettata di Moser.
«Non so se è l'età, ma ti ricordo che il "Baracchi" l'ho vinto tre volte – la replica di Saronni – ma arriviamo a quel "Baracchi". Mi chiama il mio direttore sportivo. Mi chiama il mio direttore sportivo Carletto Chiappano e la prende alla lontana: "Mi ha chiamato Baracchi, vuole che fai il torneo".
"Si ma con chi?"
"Con Francesco".
"Ah".
"Dice che ha detto: "Se quello là se la sente..."
Cosa potevo fare? Avevo vinto il Giro, ero a fine stagione ed ero un po' stanco. Ma dopo "Se quello là se la sente..." come potevo rifiutare?»
«Vado a Bergamo il venerdì – prosegue Saronni – il Baracchi non è una cosa da ridere, c'erano anche tante coppie importanti a livello internazionale. Ci dovevamo trovare venerdì per fare un po' di affiatamento. Francesco non c'è per altri impegni. Rimandiamo a sabato l'allineamento. Lui arriva sabato sera tardi. Morale: ci siamo trovati sulla passerella, senza neanche scaldarci. Ci siamo guardati. L'unica cosa che ci siamo detti è stato "Teniamo il cappellino o no?"» «Non vi dico la sofferenza nel finale. Abbiamo anche vinto bene, dopo l'arrivo ti devo dire che sono stato due ore con un male al fondoschiena da non riuscire a sedermi».
«Non ricordo perchè non ero venuto, sarò stato a fare qualche circuito» ha abbozzato Moser.
Intanto Saronni si è lanciato nel racconto di un altro aneddoto. «Ricordavamo Bitossi, grande corridore, aveva capacità, esperienza, furbizia, una visione di corsa straordinaria. Ricordo un Giro d'Italia si prende questa salita di corsa, è in ballo il terzo posto. Io, giovane, ho fatto quello che potevo fare, arriviamo sotto la salita. Un paio di corridori allungano e cerco di inserirmi nella fuga. Mi si affianca la "volpe" Franco Bitossi. Mi prende i calzoncini, si lancia e mi sibila in toscano "Beppino, tu oggi ha' già fatto troppo. Vò io, vò io. Ed è arrivato terzo».
«Come avresti fatto senza Saronni?» la domanda serafica di Bartoletti.
«Correvo uguale – la laconica risposta –In quegli anni li ho vinto il mondiale, l'europeo... poi è arrivato lui e ha un po' rotto le uova nel paniere, c'è stato lo scontro perchè avevamo due caratteri molto diversi e non c'è stato verso di andare d'accordo. È sempre stata guerra aperta».
«Cosa è successo quando lui ha smesso?» Ha chiesto Bartoletti a Beppe Saronni.
«Credo che sia vero quello che ha detto Francesco. Non ci fossi stato io avrebbe vinto molto di più e so che questa roba gli "ruga" parecchio. Però io devo dire che la rivalità con lui mi ha stimolato sicuramente a dare sempre di più. Tenete presente che nasco come corridore veloce e con l'allenamento mi sono trasformato in un corridore più completo per vincere anche i Giri d'Italia e gare difficili. Credo che la rivalità abbia giovato più a me che a lui»
«Del resto era più giovane lui!» ha chiosato Moser. «Ricordo nel nel 1979 lui mi criticava dicendo che avevano fatto il percorso del Giro d'Italia su misura per me. Ma l'ha vinto lui. Dovrebbe ringraziarmi!».
«Ma questa non era nè una polemica nè una critica – ribatte Saronni – se io fossi stato l'organizzatore del Giro d'Italia avrei fatto di tutto per agevolare il corridore più importante di allora, Francesco Moser. Questa non è una critica nè una polemica: preferivo un giro con qualche salita in più, perchè mi difendevo bene in salita. Tenete presente che ho vinto il Giro di Svizzera e il Giro di Romandia, corse che si facevano per gli scalatori svizzeri. In quei giri lì c'erano cinque cronometro, 150 km di cronometro. Nei giri di oggi non ci sono più di 50-60 km a cronometro».
La contesa prosegue sul Giro d'Italia 1980.
«Contro Hinault non c'era molto da fare – ha ricordato Saronni – come squadra, la Gis, correvamo per le tappe. Ne vinco sette e un mio compagno di squadra portava per la maggior parte delle tappe la maglia rosa. A Cles Francesco non stava bene e decide di ritirarsi. Il giorno dopo il percorso prevedeva lo Stelvio, ma i corridori erano tranquilli. "Finchè Francesco è in corsa non si farà mai lo Stelvio". Il ritiro di Francesco preoccupa tutto il gruppo. "Sta a vedere che ci fanno fare lo Stelvio". E si è fatto lo Stelvio. Tante volte era nel percorso e non si è mai fatto».
«Io ho capito Marino che mi hai chiamato qui per separarli in caso si mettano le mani addosso» Sorride Ballan
«Io preciso che non voglio in nessun modo sminuire le qualità di Francesco Moser – dice Saronni – sono situazioni che mi piace ricordare simpaticamente e che è giusto raccontare».
«Simpaticamente ti dico che Moser ha vinto 273 volte e tu 193» colpisce a sorpresa Bartoletti
«Su questo non mi trovi d'accordo» rintuzza Saronni «I numeri non mentono mai ma bisogna distinguere corse vere e corse ad ingaggio, circuiti e kermesse».
«Tu devi guardare la percentuale di circuiti che ho vinto io e che hai vinto tu. Tu vuoi sempre avere ragione – si scalda Moser – vuoi sempre sminuire gli altri, per questo non andiamo d'accordo».
Sfido chiunque a contare i numeri delle corse vere e quelli dei circuiti. Io non parlo a vanvera. Andate a vedervi i numeri» chiude la contesa Saronni.
«I filosofi antichi dicevano che la gloria di un vincitore si misura sul valore degli sconfitti» la salomonica chiosa Bartoletti.
I due campioni come si sarebbero trovati nel ciclismo di oggi?
«Difficile dirlo, è cambiato il mondo» rispondono i due, sostanzialmente concordi «Oggi il ciclismo lascia meno mano libera ai corridori, con le radio e i comandi, non so se avrei accettato questo sistema – dice Moser – i corridori hanno cuochi, nutrizionisti... Ai nostri tempi i massaggiatori facevano i panini e ci davano una stecca di zucchero. Adesso i corridori mangiano ad ora 150 grammi di zuccheri preparati: è tanta roba, questo gli dà una spinta, una carica in più. Una volta andavamo in crisi, se eri in pianura stavi a ruota, in salita ti stacchi. Avevamo cinque sei rapporti, oggi ne hanno dodici; il Giro d'Italia oggi è più di 3.000 km. Noi superavamo i 4.000 km, spesso misurati un po' a spanne».
«Io mi chiederei se i ragazzi di oggi si sarebbero ambientati ai nostri tempi – ha detto Saronni – tieni presente che il nostro era un ciclismo di forza, con tanti più chilometri, non avevamo tanti prodotti energetici e mangiavamo alla buona. Il nostro fisico doveva essere in grado di masticare, digerire e tradurre l'alimento in forza, oggi non si fa più. Ci sono meno chilometri, alte velocità e si mangia solo zuccheri raffinati che danno energia subito».
Altre scintille della mattinata scaturiscono sulle biciclette elettriche: Moser infatti si serve di una bici a pedalata assistita. «Mi piace andare in bici, vado con quella. Dopo i 65 anni c'è un decadimento fisico che si sente, di anno in anno e noi abbiamo chiesto tanto ai nostri corpi in gioventù, ora è giusto rispettarli. Quando ero giovane so con che rapporto affrontavo la strada di casa mia, oggi non ce la farei più».
«Io ho 68 anni, mi sento ancora di andare a pedali. Quando dovrò acquistarne una?» si chiede Saronni.
«Anche subito» risponde sardonico Moser.
Le ultime salve di domande di Bartoletti mettono in questione i due atleti sulle reciproche doti. C'è qualcosa, dell'altro, che si sarebbe voluto avere?
«L'arma più importante di Saronni è la velocità, ha vinto tante corse in volata. Io non ero così veloce e non avevo una squadra attrezzata» la risposta di Moser. Saronni, invece, all'altro invidiava il carattere forte: «Francesco non mollava mai, contrariamente a me. Io vincevo quando stavo bene e mi veniva tutto facile. Diversamente io tendevo ad arrendermi».
Negli scambi e nelle polemiche è capitato scappasse qualche parola che poi ci si sarebbe pentiti di aver detto? Questa la domanda che innesca l'ultima discussione della mattinata.
«Certamente – ammette Saronni – poi va detto, nel ricordare tanti fatti, ci sono momenti belli che ricordo volentieri, momenti in cui ci siamo aiutati e siamo andati d'accordo. Nella carriera però ognuno corre per se ci sono ogni tanto frasi e situazioni che scappano sotto stress con il nervosismo addosso. Poi ci si pente. Ma la cosa più bella che abbiamo creato quegli anni è che eravamo autentici, non ci nascondevamo. Il giornalismo ne approfittava e venivano fuori scene eccezionali. Il ciclismo di quegli anni era popolarissimo, la gente nei bar e per la strada litigava per noi. Si discuteva di ciclismo e non solo di calcio. Questa è la cosa più bella per me».
«La gente ci metteva uno contro l'altro, era così – ha ricordato Moser – dopo Coppi e Bartali, Gimondi e Motta... Tutti si aspettavano un'altra rivalità forte. Questa situazione ci ha anche danneggiato, perchè spesso più che correre per vincere si correva per far perdere l'altro. È capitato anche che in alcune corse altri vincessero ma i giornali comunque si concentrassero sulla nostra rivalità ignorandoli. Su Beppe? Non mi pento di nulla di quello che gli ho detto. Anzi, forse avrei dovuto dirgliene di più. Non è un problema. Io sono infastidito solo quando si va sul personale».
«Il problema è semplice: io ricordo e dico i fatti come sono andati – implacabile ribatte Saronni – basterebbe raccontare con ironia e simpatia e non prendersela. Se ci sono state delle situazioni, e allora c'erano altri atleti fortissimi. Soprattutto c'era un grande rapporto umano tra le squadre e i corridori, era un bel mondo quel ciclismo».
«Valgono di più le mie tre Parigi-Roubaix che le sue settanta vittorie su strada e non ho dubbi su quello che dico, ed è tutto sistemato» graffia Moser – lui dice che non è una corsa, ma intanto l'hanno vinta i più grandi campioni»
«Io ho cercato di stare tranquillo – rincalza Saronni – questo signore dice delle cose... Giovanni Battaglini ultimamente ha detto una cosa sacrosanta. Tu il Giro d'Italia non l'hai vinto, te l'hanno regalato»
«Ma non puoi parlare degli assenti!».
Un eterno duello, destinato a non finire mai per la gioia degli appassionati.
«Io più vi ascolto più penso che non avrei mai potuto fare a meno di voi due» la conclusione finale di Marino Bartoletti, prima della consegna del riconoscimento della Castagna d'oro ai tre campionissimi.
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