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Da garzone di macelleria al sogno del Tour: la leggenda dimenticata di Joseph Gagino

Emigrante da Lesegno, inizia come garzone a Montecarlo e finisce con il correre a Parigi come ciclista. Un infortunio stronca il suo astro sportivo alle soglie del Tour de France con la Diletta Wolber

Da garzone di macelleria al sogno del Tour: la leggenda dimenticata di Joseph Gagino

Era il 1947 quando a Lesegno arrivò un forestiero, che nessuno aveva mai visto. Un ragazzo magro ma muscoloso, con un berretto in testa. Parlava solo francese e piemontese. Fu straordinaria la sorpresa in paese quando si scoprì che si trattava di Giuseppe Gagino. Era partito ancora ragazzo, emigrato alla volta della Francia, alla ricerca di fortuna e di un mestiere. Come tanti piemontesi, e tanti monregalesi, aveva deciso di andare oltralpe e di tentare di lasciarsi alle spalle l’arida miseria delle nostre avare campagne. Era nato nel 1911, lo rivedevano in quel momento, a 36 anni, senza aver avuto notizie di lui nel frattempo, tanto che molti si erano convinti che dovesse ormai essere da ricercare in qualche camposanto. Joseph, del resto, di chilometri tra sé e Lesegno ne aveva messi parecchi ed aveva vissuto un’avventura umana e sportiva che lo aveva portato in alto, fino a correre in uno scenario leggendario come il Parc des Princes a Parigi.

Garzone di macelleria a Montecarlo

La prima destinazione del giovanissimo Giuseppe, che diventerà Joseph naturalizzandosi in seguito, è Montecarlo. In sella ad una bicicletta, inizia a lavorare, come tantissimi emigrati italiani, come garzone per una bottega, nel suo caso una macelleria. Non sorprende che in quegli anni, in cui la bicicletta era uno dei mezzi di trasporto e di lavoro più comuni, il ciclismo fosse uno degli sport più seguiti. La gente si appassionava alle gesta dei grandi atleti e molti, trascorrendo gran parte della giornata in sella, sognavano di competere con i grandi. Ecco che la bicicletta per tanti italiani emigrati, affamati di riscatto e ambiziosi, diventava anche un formidabile mezzo per il riscatto, un ascensore sociale.

Correre tutto il giorno da civico all’altro per portare nel più breve tempo possibile la merce ed effettuare più consegne nel corso della giornata allena i ragazzi, fa emergere le doti di chi davvero avrebbe le carte in regola per cimentarsi nello sport professionistico. Non a caso si organizzano spesso “Criterium” e gare amatoriali, spesso dedicate proprio ai fattorini. Proprio da una di queste competizioni nacque, ad esempio, la stella di Celestino Camilla, emigrato da Niella Tanaro, che finì per correre alla Vuelta negli anni ’40 (gli interessati possono approfondire la sua storia in un libro di recente uscita, "Il pane dell'esodo" della giornalista francese Geraldine Giraud).

Destinazione Parigi, con il sogno del ciclismo

Il destino di Joseph Gagino è simile. Il ragazzo è talentuoso e il padrino se ne accorge. Appassionato di ciclismo, lo invita a raggiungerlo a Parigi, con l’obiettivo di inserirsi nella scena sportiva ed affermarsi. Joseph risponde alla chiamata, parte. Il parente gestisce un bar. Lui cambia diversi mestieri per mantenersi nella capitale e intanto corre e miete i primi successi. Sui giornali sportivi parigini dell’epoca (primissimi anni trenta) si trova traccia delle sue imprese: ne scrivono tra gli altri “Paris Soir”, “Le Petit Parisien”, “Le Journal”, “Le phare de la Loire”, “Match”. Si trovano cronache della “Paris-Reims-Verdun”, della “Paris-Chauny”, del Grand Prix Cycliste de Saint Denis, della Paris-Montdidier, della Paris-Trouville, del Prix du printemps (che vince), della Paris-Havion. Resta epica la prestazione al Cryterium des italiens, quando arriva nell’arena Parc du princes per il finale, cade nella bagarre con un avversario, arriva secondo. Il pubblico però, onora la sua gara fischiando il vincitore e applaudendo il suo giro d’onore finale, eleggendolo vincitore morale. Molti ricordi e testimonianze delle sue imprese sono stati raccolti da Hervè, figlio della cugina di Joseph, Denise, e di Georges Cely, giocatore di rugby professionista. Hervè si è appassionato alla storia di Joseph ed ha cercato tracce delle sue imprese sui giornali. Joseph arriva a vestire i colori della Diletta Wolber e riesce a strappare un biglietto per il Tour De France, che dovrebbe correre l’anno successivo. Purtroppo però lo attende un destino amaro. Un banale incidente, un pesante tombino di ferro che gli cade su una gamba, gli procura una frattura impossibile da trattare per l’epoca. Gagino è condannato all’amputazione della gamba, secondo le prassi di allora, ma siccome è giovane i medici decidono di dargli una possibilità in più. Mettono in atto un’operazione per quei tempi davvero rudimentale e gli assemblano i due tronconi con delle grosse viti, che lui porterà tutta la vita. Decenni dopo, il profilo di quei due ferri, affioranti sottopelle, continueranno a impressionare i figli Gianni e Aldo.

I Gagino oggi: da sinistra Matteo, Aldo, Gianni e Federico all'arrivo della Fausto Coppi 2025

Il ciclismo, una passione di famiglia

Joseph Gagino proverà a tornare a correre in bicicletta, ma non riesce più a essere competitivo, fisicamente non regge. Ogni pedalata gli procura gonfiore e arrossamenti. In Francia ha costruito la sua carriera, una vita, due matrimoni e una figlia. Decide poi di tornare a casa, dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1948, dopo aver ripreso consuetudine con il paese natio ed essersi inserito, sposa in terze nozze Isa Calleri. Dal matrimonio nascono Aldo e Gianni, che questa storia la custodiscono come il più prezioso dei gioielli di famiglia. Anche loro contaminati dalla passione bruciante per la bicicletta. «In casa nostra non si parla d’altro – raccontano – e pensi che nostro padre non aveva mai voluto che corressimo in bici, perché lo considerava pericoloso». Il gene del ciclismo però non sembra destinato a uscire dalla stirpe: un nipote di Joseph, Matteo, è un ciclista e miete diversi successi nel circuito amatoriale, un altro, Federico, lavora nella macchina organizzativa del Giro d’Italia. La passione per le due ruote non si è spenta, a distanza di un secolo, così come il ricordo delle imprese sportive dell’avo.

 

 

 

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