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Il massacro nelle favelas: «Uccidere non risolve nulla. Bisogna reinventare percorsi di vita»

La voce di don Renato Chiera dopo l’operazione antidroga nel complesso “Alemao e Penha” a Rio de Janeiro in Brasile

Il massacro nelle favelas: «Uccidere non risolve nulla. Bisogna reinventare percorsi di vita»

on Renato Chiera, monregalese, fondatore di “Casa do menor" dopo il massacro in Brasile

«Provo orrore, indignazione, tristezza e impotenza di fronte al massacro avvenuto nel complesso “Alemao e Penha”, che ha tolto la vita a molti giovani e anche a quattro poliziotti». Non usa giri di parole don Renato Chiera, monregalese, fondatore di “Casa do menor - San Michele Arcangelo” commentando la maxi-operazione delle forze di sicurezza a Rio de Janeiro contro il gruppo criminale del “Comando Vermelho”, il secondo più potente del Brasile, che ha provocato centinaia di morti (almeno 130). Si è trattato del più grande raid mai effettuato contro i narcotrafficanti della città e la più sanguinosa operazione di polizia: sono stati dispiegati 2.500 ufficiali pesantemente armati, supportati da veicoli blindati, elicotteri e droni. L’operazione ha portato all’arresto di 81 persone.

«Uccidiamo, ma non risolviamo»

«Sappiamo che la vita e la dignità di ogni essere umano sono valori assoluti e sacri che vanno sempre difesi e preservati. Non uccidere, ci ordina Dio. Comprendo la stanchezza e la rabbia di una popolazione segnata dalla violenza quotidiana, che colpisce tutti, per strada o anche dentro casa. Viviamo un tempo di sofferenza e disperazione così profondo che, purtroppo, molti considerano già normale la morte dei nostri figli: figli generati, ma non amati, nati, ma senza possibilità di crescere con dignità, valori e futuro. Da 48 anni vivo in Brasile e seguo con dolore innumerevoli operazioni e uccisioni nelle favelas, dove si spendono fortune nella repressione. Ma la domanda rimane: qual è il risultato? La violenza non fa che crescere. Uccidiamo, ma non risolviamo. Solo a Rio de Janeiro sono stati investiti 16 miliardi di “reali” in sicurezza e repressione, eppure abbiamo uno Stato sempre più violento».

Don Renato Chiera, missionario "Fidei donum" dalla diocesi di Mondovì (in questi giorni in città in vista della partecipazione al "Giubileo dei poveri"), è arrivato in Brasile nel 1978 e bel 1986 nasce ufficialmente la prima Casa do menor, nella periferia di Rio de Janeiro, n risposta al grido di aiuto di molti bambini e giovani.

«È arrivato il momento di fermarsi a riflettere. Dobbiamo inventare altre strade. Conosco profondamente le comunità di Rio, compreso il sito “Alemao e Penha”. Lì – come in tante altre favelas – mancano spazi e opportunità reali perché adolescenti e giovani possano sognare e costruire un futuro diverso. Dove sono gli spazi ludici, sportivi e culturali? Dove sono le scuole di qualità, i corsi professionali, le università accessibili, che formano cittadini e lavoratori impegnati per un Brasile migliore? Nell’area Fluminense, dove vivo da quasi mezzo secolo, abbiamo deciso di creare percorsi di vita. La “Casa do menor” ha aperto spazi di cultura, sport e professionalizzazione. Abbiamo già formato più di 120.000 adolescenti e giovani, offrendo non solo una professione, ma anche famiglia, presenza e valori. Sappiamo che è poco di fronte alla vastità dei bisogni, ma questa è la strada che porta i suoi frutti».

Perché i Governi non investono in istruzione?

«Anni fa sognavamo di essere presenti anche al complesso Alemao. Purtroppo non siamo riusciti a realizzare questo progetto per mancanza di risorse. E ci chiediamo: perché i Governi non investono in istruzione, professionalizzazione e inserimento nel mondo del lavoro? Perché continuano a insistere su politiche repressive che non portano risultati? La repressione non risolve. Moltiplica solo odio, dolore e morte. Ne abbiamo uccisi a dozzine nel complesso. Ma tra pochi giorni il traffico tornerà più forte, occuperà nuovi spazi, si diffonderà in altre zone. Cacciamo i giovani da queste comunità, e finiscono per invadere l'intero Paese, ripetendo il ciclo di esclusione e violenza. Non possiamo continuare così. È ora di fermarsi famiglie, chiese, scuole, governi, politici, imprenditori, militari: tutti dobbiamo riflettere e reinventare percorsi di vita. Le strade della repressione, della violenza e dello sterminio non funzionano. E non possiamo essere ingenui: uccidiamo i "piedi scalzi", i poveri, gli invisibili. Ma i boss del narcotraffico, gli uomini d'affari, politici e militari che traggono profitto da questo grande e redditizio affare della morte restano intatti. I colletti bianchi non vivono nelle favelas. Vivono in condomini di lusso e continuano a sacrificare giovani, adolescenti e poliziotti in nome del profitto e del potere. È urgente rompere questo ciclo e scegliere la vita. Solo l'amore, la presenza, l'istruzione, l'opportunità e la giustizia possono guarire le ferite di un popolo così ferito. Pensiamoci su. Dobbiamo fare insieme una mega operazione di salute, istruzione, tempo libero, professionalizzazione e opportunità per il futuro per generare vita piena nelle comunità vulnerabili».

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