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20 Dicembre 2025 - 10:13
Lo aveva anticipato il ministro degli Affari regionali e delle Autonomie proprio a Frabosa Sottana, nel corso dell’incontro che aveva chiuso la due giorni in occasione della ricorrenza internazionale dedicata alla montagna. «La nuova legge farà prima di tutto ordine su quelli che possono essere considerati comuni montani e quelli che non lo sono» rimarcando il fatto, ad esempio, che nella legislazione allora in vigore Roma era considerato comune montano. Non sfugge che questa partita è considerata decisiva, perché ovviamente ai comuni che rientreranno nei criteri di montanità saranno indirizzate le strategie individuate dai governi contro spopolamento e carenza di servizi e per lo sviluppo delle aree e quindi dei fondi e dei finanziamenti specifici. L’elenco non è stato ancora pubblicato ufficialmente perché non è definitivo. È in corso la discussione con il governo in questo senso, ma una prima bozza è stata trasmessa negli scorsi giorni. Se n’è parlato, un anno dopo, ancora alla Giornata internazionale della montagna, quest’anno a Belluno-Cortina. Tra i Comuni che perderebbero lo status di montanità nel monregalese e cebano ne compaiono quattro: si tratta di Briaglia, Cigliè, Lesegno, Pianfei. Curiosità: entra tuttavia il capoluogo di provincia, che paradossalmente non era classificato come Comune montano.
La legge pubblicata a settembre 2025 individua tre criteri per la classificazione montana o meno dei Comuni: il territorio deve essere almeno per il 25% sopra dei 600 metri sul livello del mare e deve avere almeno il 30% della superficie con una pendenza superiore al 30%. Inoltre l’altimetria media deve superare i 500 metri sopra il livello del mare e il loro territorio deve essere intercluso da quello di comuni classificati come montani in seguito dell’applicazione dei criteri, a condizione che abbiano un’altitudine media di 300 metri.
Con questi criteri i Comuni classificati come montani scendono da più di 4.000 a circa 2.800. Un provvedimento che sta facendo molto discutere. I nuovi criteri infatti penalizzano fortemente l’Italia centrale e in generale l’appennino, che sta infatti protestando. Queste novità non soddisfano nemmeno Uncem, che ha stigmatizzato infatti le divisioni che questo decreto sta portando tra territori che dovrebbero essere il più possibile uniti.
«Se anche dovesse concretizzarsi questa nuova configurazione – commenta Marco Turco, sindaco di Pianfei – ci toccherebbe poco, perchè noi, comune parzialmente montano, non siamo stati destinatari di molti fondi destinati alla montanità. Certo, da primo cittadino lo ritengo un metodo sbagliato. Siamo per lo sviluppo della montagna, certamente questa per me non è la strada giusta». «So che sono in corso interlocuzioni – commenta Giacomo Miceli, sindaco di Briaglia – la cosa comunque ci penalizzerebbe e francamente non vedo molta chiarezza nelle risultanze di questi criteri. Va detto però che c’è lo strumento dell’Unione Montana che potrebbe comunque essere una via per accedere comunque alle risorse. Anche in passato tramite il posto in Unione comuni senza lo status di montanità hanno comunque avuto qualche possibilità in più».
È critico Roberto Colombero, presidente Uncem Piemonte: «Il ruolo del Piemonte sulla riclassificazione dei Comuni montani è decisivo – commenta –. Non solo perché la Regione, unica alpina insieme ad altre appenniniche, ha chiesto il rinvio dell'esame del decreto, previsto inizialmente per oggi in Conferenza Unificata a Roma. Ma perché dagli anni Cinquanta siamo apripista nelle politiche nazionali per la montagna, avviando percorsi decisivi per il Paese. Così, sono certo che sarà anche oggi. Stiamo lavorando con l'Assessore Gallo per evitare frammentazioni, divisioni, contrazioni di Comuni in classificazioni che niente devono avere di ideologico. Roma non ha mai preso un euro di fondi per la montagna negli ultimi dieci anni. Non facciamo demagogia, non la faccia chi deve evitare polemiche e agire istituzionalmente in un profilo alto e intelligente. Togliere Roma dai Comuni parzialmente montani, additandolo a scandalo della precedente classificazione, e vedere dentro oggi Reggio Calabria, è francamente stupido, poco efficace. Dunque evitiamo di perdere ulteriore tempo nei criteri, nelle classificazioni, negli elenchi. Forse a qualcuno piace che oggi i sindaci siano arrabbiati e divisi. A noi no. Uncem è con i sindaci sempre, con le loro Amministrazioni e comunità. Per noi, il dividi et impera è il male che curiamo con il dialogo e l'ascolto. Politiche per creare fiducia, come detto all'Aquila al Congresso. Andiamo oggi al cuore delle sfide e delle opportunità. Gestiamo concretamente le necessità della montagna e dei Comuni, evitando panico e arrabbiature tra Sindaci e nei Comuni. Uncem dà la disponibilità al Ministro competente per materia di fare un lavoro insieme, se lo vorrà a differenza di oggi, mentre Uncem negli ultimi tre mesi non è stato coinvolto nella stesura del decreto sui Comuni montani. Grave errore voluto da alcuni. Forse perché, da un anno e mezzo diciamo che non va fatto quell'elenco. E così, meglio escluderci. Noi i ponti e le reti le facciamo. Le stendiamo oggi verso il Ministero e chiediamo alle forze politiche di lavorare insieme, all'opposizione in Regione di agire con l'Assessorato per trovare nuove soluzioni alla classificazione, per investire ancor meglio le risorse economiche, per evitare scontri e incomprensioni. Dialogo sempre. È la regola di un buon Sindacato, quale prova a essere Uncem». Anche il PD regionale si è opposto al provvedimento: il gruppo in Consiglio regionale ha presentato un ordine del giorno per impegnare la Giunta a intervenire con urgenza. «Non si tratta di una modifica tecnica – sottolinea Mauro Calderoni del gruppo Pd – ma di una decisione politica che rischia di tagliare fuori molti Comuni piemontesi da risorse e strumenti fondamentali: sanità di prossimità, trasporti, scuola, servizi essenziali e misure di contrasto allo spopolamento».
In seguito alle polemiche il ministro Calderoli ha risposto in question time negli scorsi giorni e successivamente ha disposto il rinvio del punto interessato in Conferenza unificata, dove doveva essere affrontato. Il ministro infatti si è detto disponibile a ulteriori confronti con gli enti territoriali, che dovrebbe proseguire già la prossima settimana «Non sono innamorato di nessun criterio - chiarisce il ministro - e dunque resto ben disponibile al dialogo, senza preclusioni. Sottolineo però che i parametri da me proposti rispecchiano ciò che è stato proposto dai 6 esperti indicati proprio dagli enti territoriali: 3 dalle Regioni, 2 dai Comuni, 1 dalle Province. Da parte mia, confermo la volontà di trovare una soluzione ragionevole e di buonsenso». «Per arrivare a una soluzione il più possibile condivisa – ha proseguito –, oltre ai 3 criteri già proposti nei giorni scorsi, ho dato disponibilità ad accogliere l’ulteriore emendamento proposto dalle Regioni in merito ai ‘cluster di interclusi’. Inoltre sono propenso a valutare anche un’ulteriore estensione verso quei Comuni che, pur avvicinandosi a tutte le soglie indicate, restano esclusi per poco da ciascuna di esse. Si può prevedere anche un percorso di gradualità per ridurre l’impatto immediato. Lavoro per arrivare a un esito il più possibile positivo e trasversale». Calderoli, manifestando disponibilità a un’interpretazione “estensiva” dei criteri, ha tuttavia sottolineato il punto centrale: il rispetto della montagna e delle vere terre alte, escludendo Comuni che con la montagna non hanno nulla a che vedere.
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