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14 Luglio 2025 - 08:30
Non solo marmo o tannino. In tempi molto diversi da quelli di oggi, l’alta Val Corsaglia era decisamente operosa e pure l’attività estrattiva offriva qualche possibilità di sostentamento lungo il corso del torrente omonimo. La mappa delle aree minerarie in Italia elaborata dall’Ispra segnala solo il sito probabilmente più grande, una miniera di barite (sbagliando però di circa 1 km la collocazione) che si trovava in località Giacché-case Borghesini nel territorio del Comune di Roburent, ma praticamente davanti all’abitato di Fontane (Frabosa Soprana) sulla destra orografica del torrente.
In una perlustrazione di qualche anno fa, il Gruppo Speleologico Alpi Marittime la definisce: “Piuttosto estesa, organizzata in gallerie parallele collegate fra loro e accessibili tramite due ingressi, uno basso e poco comodo, quello inferiore ampio e maestoso”.
«Non conosciamo date precise di attività di questo sito, attivo probabilmente tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento – riassume Alessandro Barabino, dell’Ecomuseo del Marmo di Frabosa Soprana –. La barite ha impieghi sia nel campo petrolifero, sia nella realizzazione delle vernici. Inoltre, viene usata in ambito sanitario, mescolata al cemento per la schermatura delle radiazioni oppure nella realizzazione di agenti di contrasto per evidenziare i tessuti molli».
Non era, però, l’unico scavo. Era presente anche una miniera di manganese e una piccola vena di minerale ferroso in località Surie sopra la borgata Vinè, ma soprattutto un altro sito storico: una miniera di galena argentifera che risultava coltivata fin dal 1778, e documentata ancora nel 1822, dal Marchese di Pamparato. In regione Sbornina, conosciuta soprattutto per il marmo, si hanno notizie di ricerche di manganese, oro, galena e pirite.
Un piccolo, ma prezioso documento ritrovato presso il signor Calleri di località “Fabbrica” (sulla strada provinciale nei pressi del bivio per Prà di Roburent), riporta alcuni dati amministrativi sull’attività estrattiva nelle cave di Borghesino. Da un libro, risalente agli anni Venti, con le matricole degli operai dipendenti della ditta G.I.S.A. (Galena Italiana Società Autonoma) di Milano si leggono i nomi di 61 persone assunte, provenienti quasi tutte dall’Alta Valle Corsaglia residenti sia nel Comune di Frabosa Soprana sia in quello di Roburent. Tra loro anche tre donne.
Accanto si leggono l’occupazione abituale (in maggioranza contadini, alcuni fabbri), la condizione (un mutilato) e pure alcune curiose osservazioni: “poca voglia di lavorare”; “intelligente”, “lavoratore coscienzioso”. Gli ultimi licenziamenti di questa attività portano la data del 30/10/1927.
Miniera vuol dire anche esplosivi: ecco allora nella stessa documentazione un “registro di deposito” relativo alla “tassa sulle polveri piriche e sugli altri prodotti esplodenti”. Sopra Bossea si trovano ancora i resti della “polveriera”, sistemata lontano dalle altre case.
Sempre a Bossea, il mulino del signor Mora macinava barite e manganese. Proprio su questa attività qualche anno fa l’Associazione culturale “E Kié” di Fontane raccolse la testimonianza di Riccardo Vinai (Toumelou): «La miniera della barite era a Giacché. Da qui una teleferica arrivava a Bossea e il materiale veniva trasportato ad un mulino ad acqua. Prima di macinarla, la barite veniva pulita: le donne, dotate di piccoli martelli, facevano scendere tutte le impurità (al Museo di Fontane è conservata una foto di alcune donne che svolgono questa operazione, ndr). Una volta macinata, la barite diventata una polvere bianca, veniva messa nei sacchi e poi caricata sui carri e portata a Torino».
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