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01 Dicembre 2025 - 09:29
La morte all'età di 63 di Gary "Mani" Mounfield avvenuta qualche giorno fa ha segnato una generazione: sebbene gli Stone Roses non siano stati una delle band più conosciute ci porta su alcune riflessioni. Soprattutto per coloro che hanno vissuto la propria gioventù o la pre/tarda (o piena) adolescenza in quel periodo travagliato tra la fine dei lustrini degli anni '80 e l'epoca della disillusione dei '90 c'è sempre un po' stata quell'idea che il Grunge – di cui gli Stone Roses hanno rappresentato in un certo qual modo l'inizio, sebbene il genere si sia sviluppato negli USA – ha rappresentato una fase fondamentale, capace come il punk negli anni '70 di sferzare il rock. E molti emerge la fatidica domanda: il Grunge è stato l'ultimo genere del rock?
Per rispondere ad una domanda come questa, chi scrive – come spesso accade – vi dice: “dipende”.
Sì, dipende: da quello che uno ascoltava prima, e come ha poi proseguito i propri ascolti e le proprie frequentazioni musicali; dipende da ciò da cui arrivava e soprattutto dipende da cosa si possa intendere nel genere come “musica rock”.
Sfatiamo un mito: chi sostiene che dopo il grunge sia arrivato lo stoner, sbaglia: i Kyuss (zoccolo duro dei futuri Queen of the Stone Age) sono coevi di band come Nirvana, Pearl Jam o Soundgarden, e la loro è una derivazione del metal e proveniente dal influenze blues anni '70.
La morte di “Mani” ci offre l'opportunità per fare una considerazione assai più ampia su ciò che rappresenta, nella storia della musica, il periodo degli anni '90. Mounfield è stato un artista che non può essere ricondotto ad un genere, anzi rappresenta la poliedricità dei generi e le grandi sfumature di quell'epoca.
Egli è sì stato il bassista degli Stone Roses, la band considerata capostipite del genere, ma dopo quell'esperienza anche uno dei principali componenti dei Primal Scream, band che c'entra assai poco con un'idea “ortodossa” del rock. Sia negli Stone Roses sia nei Primal Scream il basso è strumento su cui si reggono giri galoppanti, fatti di funk e psichedelia, groove ipnotici e ad un'attitudine rock; e Mani si pone perfettamente come ponte tra le due realtà artistiche. In questa sua capacità di spostarsi dal rock di fine anni '80 degli Stone Roses alle ossessioni psichedeliche ed elettroniche dei Primal Scream, nella metà del decennio successivo, ci aiuta a capire cosa accadde in quell'epoca.
Più che definire la fine del rock, gli anni '90 hanno aperto all'ibridazione della musica che verrà elaborata e conclamata nel nuovo millennio: il rock che stava perdendo la sua forza propulsiva vedeva nelle frange delle estremità più abrasive – di cui il grunge fu l'esperienza più mainstream, ma che annoverava anche noise, post-rock o punk-hardcore e varie esperienze metal – gli elementi di resistenza; parimenti l'elettronica tracciava nuove strade e il trip-hop frullava già cultura hip-hop d' oltreoceano con le tradizioni ska, reggae e rocksteady. Pochi come Mounfield hanno vissuto questo mix di esperienze, che si sono profondamente condizionate le une con le altre.
Ecco che la domanda se il grunge sia stato l'ultimo vero exploit del rock si rivela, alla luce della sua carriera e da quanto scritto, mal posta: nasce da una visione lineare e gerarchica nella storia della musica che “Mani” ha contribuito a smontare. In questa logica il grunge non fu un punto d'arrivo, ma uno snodo importante e sicuramente non l'unico per la strada di molti artisti: da una parte si svilupperà la ricerca sulla potenza chitarristica, distillata nello stoner o nel post-rock; altri, come i Primal Scream con l'arrivo di Mani, intraprendono un percorso di dissolvenza del rock nelle sue componenti primitive – il groove, il ritmo, l'ipnosi – per mescolarle con elettronica, dub e psichedelia.
Il basso di Mani rimane la costante: un'ancora di riconoscibilità mentre il contesto attorno cambia radicalmente, si moltiplicano e miniaturizzano le esperienze. Questo ci dice che l'essenza del rock anni '90 non era in un suono specifico, ma in un atteggiamento: la proposta convinta e identitaria non ha mai mostrato preclusione alla contaminazione, a forzare i confini, a cercare nuove sintesi tra potenza “rock” e nuove declinazioni aperte alle sonorità world, alle derivazioni black o alla nuova musica elettronica.
Quell'esperienza oggi pare remota: anche se il rock non è morto, con il nuovo millennio, è stato più complicato apportare novità. Alcune realtà ci hanno provato, ma si è trattato principalmente della riproposizione di passate esperienze: una sorta di centrifuga in cui rimescolare il passato dando una patina di novità. Oggi il panorama, fatto di streaming e micro-generi destinati a un oblio immediato, rende quel passato quasi un monito: un algoritmo può interpretare ed anticipare un cambiamento, ma non è in grado di far germogliare la novità. Allora, a sopperire una tecnica talvolta più rozza e meno consapevole, c'era un'audacia ed una freschezza nella ricerca - forse più ideale - che oggi sembra smarrita. Il problema del rock non è quindi la mancanza di talento, ma forse di quel coraggio trasversale che personaggi come Mani possedevano. Il rock non è "morto" con il grunge; si è semplicemente frammentato e fuso in un tessuto musicale globale, fatto di velocità e consumo rapido. Quella forza innovativa oggi va forse, e semplicemente, cercata altrove, in altri contesti musicali ed in altri generi; guardare a quegli anni non ci deve portare a pensare a cosa sia morto di quell'epoca, ma come – ciò che di buono è stato prodotto – ha avuto l'opportunità di manifestarsi.
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