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28 Novembre 2025 - 17:36
Immagine generata con intelligenza artificiale
Sono stati finalmente condivisi su Netflix i primi quattro episodi dell’attesissima quinta e ultima stagione di Stranger Things, ma l’impressione generale è che questa volta la ripresa della celebre serie dei fratelli Duffer non riesca davvero a ingranare. Dopo quasi dieci anni dal debutto del 2016, e con la storia che invece progredisce solo di quattro anni – dal 1983 al 1987 – l’effetto straniante è inevitabile: gli attori, ormai giovani adulti, faticano sempre più a incarnare credibilmente i loro personaggi adolescenti. È un limite già avvertito in passato, ma qui l'accentuazione del problema aumenta ancora.
La serie, oltretutto, sin dalle origini si era sorretta su un citazionismo affettuoso e dichiarato nei confronti dell’immaginario di Stephen King: dai rimandi visivi del logo alle dinamiche da IT, con ragazzini chiamati a fronteggiare forze sovrannaturali di scala enorme. Era proprio questa miscela di innocenza, orrore e amicizia a costituire il cuore pulsante dello show. Con un cast ormai troppo cresciuto per quei ruoli, una parte importante di quella magia si dissolve: l’atmosfera perde freschezza e coerenza emotiva.
Sotto il profilo dei colpi di scena contenutistici, inoltre, la quarta stagione, svelata identità, origini e piani di Vecna, ci aveva lasciato con la sensazione di aver già mostrato tutte le sue carte, e questa nuova stagione conferma l'impressione di avere da offrire solo più un dilazionato “grande scontro finale” che sarà magari grandioso, ma difficilmente diverso da tanto cinema spettacolare hollywoodiano; non era questo il punto di forza di Stranger Things. Le puntate viste finora, al netto di spoiler, sembrano semplicemente tese a costruire la fase conclusiva con un crescendo narrativo costruito certo con professionalità (è pur sempre uno dei prodotti più simbolici di Netflix).
Ma la verve delle prime stagioni appare lontano: Stranger Things, citando anche paranoie cospirazioniste come il progetto MK-Ultra, aveva saputo recuperare un immaginario sovrannaturale di stampo lovecraftiano. Ma l’orrore di matrice lovecraftiana funziona davvero quando rimane allusivo, quando non tutto il mistero è svelato, quando magari (specie negli emuli del Maestro di Providence) i protagonisti sfuggono alle grinfie dell'orrore cosmico, ma senza poter pensare di batterlo. Qui, invece, la apparente volontà di chiudere i vari nodi dirada quella nebbia oscura che rendeva più potente la tensione.
Staremo a vedere come si svilupperanno gli episodi finali, ma ciò che traspare fin d’ora è una conclusione che si sta preparando con un certo decoro, sì, ma senza quella potenza immaginifica che aveva trasformato Stranger Things nel vasto fenomeno generazionale legato all’ascesa di Netflix, forse nell’ultima grande “serie condivisa” di un pubblico vastissimo. Certo, meglio comunque una conclusione rispetto al malvezzo, accentuatosi nella "era Netflix", di serie spezzate a metà: un epilogo atteso, ma forse non all’altezza del mito costruito in un decennio.
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