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Stefano Tamburini: il Cannibale che ha divorato le convenzioni del fumetto

Pazienza e Tamburini, rockstar maledette del fumetto

Tormentati cannibali

Nel tondo, Stefano Tamburini. Sullo sfondo, una sala della mostra dedicata all'artista (foto karlopiz).

Oggi Stefano Tamburini avrebbe settant’anni: appare quasi un paradosso in riferimento ad un autore fumettistico, oggi misconosciuto, simbolo del ribellismo giovanile punk nel mondo del fumetto, come il ben più celebre Pazienza. Due anime del movimento “Cannibale”: Pazienza strepitoso solista, Tamburini anche in coppia col virtuoso Tanino Liberatore, “Michelangelo del fumetto”, con cui elabora la sua opera più nota, “Ranxerox”. Al loro fianco anche Scozzari, ancora attivo, e Mattioli, paradossale (ma non troppo, per chi conosce il fumetto) liason tra l’avanguardia al vetriolo e il mondo del fumetto cattolico col suo Pinky, l’altra faccia della medaglia del “terribile” Squeak the Mouse.


Pazienza è divenuto più universalmente noto probabilmente proprio grazie alla sua capacità di narrare il disagio di una generazione post-77, filtrando la propria esperienza personale con la potenza incredibile del segno. In “Pentothal” c’è ancora lo sperdimento dello studente universitario bolognese (o in qualsiasi grande città), che degenera in un tormento lisergico; in “Zanardi”, l’opera più nota, c’è il vuoto del cinismo degli anni ‘80, dove la disperazione è quella di chi viene schiacciato dallo spietato Zanna, psicopatico perfettamente accettabile nello standard del “vincente” dell’Italia dell’edonismo reaganiano-craxiano (e lo stesso Pazienza, quando appare nel fumetto, è perdente rispetto al suo crudele personaggio). Soprattutto, “Gli ultimi giorni di Pompeo”, racconto terrificante della dipendenza da eroina, e anticipazione del tragico destino del fumettista, è un’opera che, con pagine genialmente allucinatorie, mostra il tormento dell’autore e ne prefigura la tragica fine.

Stefano Tamburini ritratto da Tanino Liberatore


Una fine che lo accomuna a Tamburini, che all’apparenza si sofferma su un versante più ludico e incentrato su una sferzante satira sociale (ma, sulla copertina di "Cannibale", Liberatore lo rappresentava intento a divorarsi).
In “Snake Agent” Tamburini rielabora le tavole classiche di Agente X-9 di Alex Raymond utilizzando la fotocopiatrice xerox, all’epoca strumento di avanguardia, per deformarle e tramutarle in una versione ipervelocizzata, modernissima, che ci mostra uno scacchiere internazionale preda di una futuribile guerra di spie in pieno delirio, in un florilegio di distruzione gratuita, divertente a un primo livello ma inquietante quanto più lo sentiamo in fondo non così impossibile. Un’opera che è tornata in auge, sia pure nella nicchia degli appassionati di fumetto, come prefigurazione (con molte differenze) dei possibili usi sperimentali, oggi, dell’intelligenza artificiale nel fumetto, come gli esperimenti di Francesco D’Isa e altri qui da noi (in una direzione, direi, per ora differente: D’Isa e altri sperimentatori italiani al limite producono fumetti incentrati su una fissità volutamente inquietante, opposta all’iperdinamismo creato da Tamburini).


Con Tanino Liberatore, poi, Tamburini dà vita a Ranxerox, un cyborg-teppista (creato da una fotocopiatrice), che è l’incarnazione della brutalità urbana e del consumo sfrenato: una satira feroce che non smette di colpire, mostrandoci una Roma futuribile che è proiezione di una Italia sempre più preda di una spumeggiante decadenza morale, fino a tornare ai fasti di una sorta di corrotto tardo impero con innesti high-tech.
Due autori quindi da riscoprire all’interno di quella gloriosa stagione del fumetto, che ci ha mostrato le vertigini degli abissi individuali e collettivi della postmodernità. Abissi che hanno poi inghiottito i loro autori: chissà quante opere meravigliose, altrimenti, avrebbero ancora potuto darci.

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