ultime notizie
12 Settembre 2025 - 12:32
Quando Massimiliano è uscito, dopo otto anni, avrebbe potuto fare la cosa più ovvia: lasciarsi quelle mura alle spalle. Ne aveva tutto il diritto: aveva scontato la sua pena, era libero. Nessuno lo avrebbe biasimato per questo. Ne aveva il diritto e persino la possibilità: «Avevo l'occasione di andare a lavorare altrove, in un'azienda edile».
Invece? «Invece mi hanno chiesto di tornare nel carcere, per restare nella cooperativa che fa lavorare i detenuti» dice, sorridendo. Quanto ci hai pensato su? «Io? Ho accettato immediatamente». È diventato un amico, non solo un collega. Uno che può portare un messaggio alla famiglia che ti aspetta fuori, magari a un genitore malato. E un esempio: di chi ce l'ha fatta, ma non si è dimenticato di chi è ancora dentro.
La storia di Massimiliano è bellissima. Alle sue spalle, ci sono gli errori, la condanna, la pena: «Ho sbagliato, non lo negherò mai e non lo voglio fare più». In carcere, casa circondariale del "Cerialdo" a Cuneo, chissà quanto ci ha pensato. E forse chissà quante volte ha avuto paura: ce la farò? ce la faremo? ce la farà, il mondo, a volerci - a volermi - indietro?
C'è chi dice che uscire dal carcere sia difficile quasi quanto entrarci. Perché di colpo ti ritrovi faccia faccia con il "mondo di fuori", che per anni hai visto solo da lontano, e che ti guarda col pregiudizio: sei "quello che era in prigione". La società, che per anni ti ha isolato, reagisce con paura, stigma, con un muro di imbarazzo. Si parla di reinserimento. Ma quale?
Se in Italia la recidiva nel mondo degli ex detenuti sta attorno al 70%, ci vuole poco a capire che nel sistema qualcosa non funziona. Giudicheremmo "efficiente" un'azienda che nel 70% dei casi vede il frutto del proprio lavoro tornare indietro? No.
Nel 2019, sotto gli occhi di Massimiliano, però nasce una cosa: il progetto "Panaté - GliEvitati". La cooperativa messa su dal monregalese Davide Danni che fa lavorare i detenuti, dentro il carcere, per fare il pane. Un pane che viene prodotto, commerciato e oggi venduto ovunque. «Eravamo in 3, all'inizio - racconta Massimiliano -. Oggi qui lavorano 13 persone». Non è volontariato, non è assistenzialismo: è lavoro vero. Con regolari contratti di assunzione.
«Ho cominciato a lavorare con "Panatè" negli ultimi anni della mia detenzione. Mi piaceva, ho visto nascere il progetto, il laboratorio di panificazione». Avere un lavoro in carcere vuol dire tante cose. Vuol dire, prima di tutto, sentirsi attivi e ritrovare, col lavoro, dignità. Una dignità umana di chi "fa qualcosa". Ma vuole anche dire cose più pratiche: imparare un mestiere, allacciare un rapporto con chi sta fuori. E, non da ultimo, mettere soldi da parte: al "Cerialdo", su 400 detenuti, oltre 170 hanno meno di 10 euro sul conto (i dati sono forniti dal direttore, Domenico Minervini). Se non hai una base... cosa fai, quando esci?
E infatti: «Quando sono uscito, ho dovuto chiedermi: e adesso?». Massimiliano ha una famiglia: la compagna, i figli, che in quegli anni erano cresciuti. «Non è facile, eh... io non voglio far mancare nulla, ai miei figli, nulla. Voglio che non sbaglino. Ma so anche che io per tanti anni non ci sono stato». Era il momento di cercarsi un lavoro. «Mi aveva contattato un'azienda con cui lavoravo prima, settore edile. Avrei accettato. Poi è arrivata la telefonata della cooperativa. Mi hanno chiesto: avremmo bisogno di te, ti va di tornare? Ho detto di sì, immediatamente. Mi sono detto: ora deve cominciare la mia nuova vita. Una nuova persona, che fa un nuovo lavoro». Il passato esiste ma è dietro: punto, e a capo.
E così, Massimiliano torna al "Cerialdo". Ma non ti è pesato rivedere quelle mura, quei cancelli? Risentire quei rumori, quegli odori, rivedere le divise della Penitenziaria? «In realtà, no. Non avevo nessuna paura di confrontarmi con questo scenario. Sapevo quanto mi era stato utile, quanto era importante». Non è stato semplice: «Ho dovuto scegliere di trasferirmi a Cuneo. per qualche tempo, non avevo nemmeno un letto in casa».
Oggi è responsabile del panificio. Ha un lavoro, ha una famiglia, ha un ruolo. E ha molto, molto di più.
E con gli altri detenuti? «Il rapporto funziona. E sai perché? Perché io ci sono passato. E loro lo sanno. So cosa vogliono. Se sbagliano, se fanno qualcosa che non devono fare... e può accadere... so perché. So come comportarmi, come dirgli le cose. So che a volte basta un gesto banale, che so, arrivare con un barattolo di crema al cioccolato che in carcere non esiste, per creare un momento di gioia. E mi faccio da tramite tra loro e le famiglie che li aspettano fuori: magari mi chiedono di parlare con un genitore, cose così. Per me è stata una motivazione». E lo diventa per chi è ancora detenuto, che vede in lui un esempio concreto. Di chi ha saputo non solo fare i conti con la pena, ma farli con sé stesso. Poteva andarsene: è tornato.
Edicola digitale
Versione web de L'"Unione Monregalese", settimanale cattolico di informazione, notizie ed opinioni di Mondovì. Iscr. n°8 Reg. Canc. Trib. di Mondovì del 05-04-1951.
Direttore Responsabile Corrado Avagnina.
Edito da CEM - Cooperativa Editrice Monregalese Piazza S. Maria Maggiore, 6 - 12084 Mondovì - Tel. 0174 552900 - P.Iva: 01654260049
Registro delle Imprese di Cuneo n. 01654260049
Albo Società Cooperative n. A118893
Capitale Sociale € 25.768,00 i.v.
L’Unione Monregalese percepisce i contributi pubblici all’editoria. Tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. Amministrazione trasparente: pubblicazione dei contributi pubblici, importo lordo contributo editoria anno 2022 euro 363.048,48 come da decreto della Presidenza Consiglio Ministri del 5.12.23
Oltre a quanto evidenziato in Nota Integrativa si evidenzia che gli aiuti di Stato e gli aiuti de minimis ricevuti dalla società sono contenuti nel Registro nazionale degli aiuti di stato di cui all'art. 52 della L. 234/2012 a cui si rinvia e consultabile a questo link