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"Jannik Sinner? Ma come si fa a considerarlo italiano?"

Dibattito acceso sotto il nostro post: “È veramente italiano se non paga le tasse qui?”. Tra orgoglio nazionale e polemiche fiscali, il trionfo di Jannik riaccende il dilemma dell’identità sportiva nell’Italia dei sospetti. Intanto Jannik, facci un favore, continua a vincere!!!

"Sinner? Ma come si fa a considerarlo italiano?"

Foto tratta dal profilo Facebook di Wimbledon

Jannik Sinner ha vinto Wimbledon. Il primo italiano della storia a cingersi il capo con l’alloro del Centre Court londinese. Ha battuto tutti, anche la sua "bestia nera" Carlos Alcaraz, con l’aria di chi sa che la classe non ha bisogno di sberleffi da... sborone. Ha vinto con il garbo di chi non ha mai urlato un "forza!" sguaiato, ma ha fatto parlare il silenzio delle corde e l’eleganza del polso e l'efficacia dei movimenti sull'erba quasi ingiallita di Londra. Eppure il post della notizia del trionfo di Jannik sulla nostra pagina Facebook si è presto trasformato in una sorta di "match", non sul campo, ma sotto, nei commenti. Non di rovesci e servizi, ma di tasse, residenze e sentimenti patriottici.

"Come si fa a considerarlo italiano"?

I commenti stile "Ma come si fa a considerarlo ITALIANO visto che le tasse le paga a Montecarlo, per me ITALIANO è chi paga le tasse in ITALIA e con quelle vengono dati i servizi per tutti, eh già... è italiano solo quando vince" oppure "italiano" con nome austriaco che vive a Montecarlo e porta lì i suoi soldi... Ergo NON paga le tasse"... hanno scatenato una diatriba vibrante ed accesa, e in molti si sono sentiti in dovere di "proteggere" il nostro numero uno del tennis. Questi commenti ad un post di un settimanale locale come il nostro, sono però lo specchio di un sentire nazionale.

  


  

Un popolo diviso

Siamo un popolo diviso. Non certo da oggi. Lo eravamo con Coppi e Bartali, Rivera e Mazzola, Bugno e Chappucci. Lo siamo ora con Sinner e... l’Agenzia delle Entrate. Da una parte i laudatori, fieri d’un azzurro che vince e ci fa dimenticare, per un attimo, la mediocrità calcistica e la burocrazia infinita. Dall’altra, i rigoristi morali, che chiedono a Jannik ciò che non sempre chiedono nemmeno a sé stessi: pagare le tasse qui, perché “solo così sei davvero italiano”.

Le "dannate" tasse

Lasciamo parlare i numeri, come un arbitro severo ma giusto. Secondo quanto riportato dall'agenzia Adnkronos, Sinner paga regolarmente le imposte sui premi vinti nel paese in cui gareggia. Se vince in Francia, paga in Francia. Se vince in Italia, paga in Italia. Se vince a Wimbledon, paga al fisco britannico. E quando si tratta di sponsorizzazioni, pubblicità e altre attività, quelle entrano nella fiscalità del suo Paese di residenza: Montecarlo. Un paradiso, sì. Ma legale. Come lo è per altri centinaia di atleti che non rubano nulla, ma scelgono ciò che conviene. E Montecarlo conviene eccome: zero imposta sul reddito personale, un clima ideale per allenarsi, e la possibilità di non essere aggredito da orde di paparazzi in tuta bianca. La legge italiana prevede che se trasferisci la residenza all’estero, devi trascorrere più di 183 giorni fuori dall’Italia e dimostrare che lì lavori, vivi, esisti. Sinner lo fa dal 2020. È tutto regolare, limpido, calcolato.

Cosa disturba davvero, allora?

Forse il fatto che Sinner non è “dei nostri”. Parla poco, un italiano non certo alla Dante, sorride a metà, non gesticola, non piange e non si strappa le vesti dopo la vittoria. È il contrario del campione “spaghetti e mandolino”. E poi, sì: vive a Montecarlo. E questo, per l’italiano medio, è il tradimento più imperdonabile. Non importa che Sinner abbia portato l’Italia in prima fila nel tennis mondiale. Non conta che abbia vinto Coppa Davis, Australian Open, US Open, oggi anche Wimbledon e che sia il numero 1 del ranking ATP. Se non versi l’Irpef sotto il nostro sole, resti un po’ forestiero.

L’Italia e i suoi eroi precari

Sinner non ha bisogno di difensori. Si difende da solo, col rovescio a due mani e il diritto pulito come una rasoiata. Ma questo dibattito dice molto più su di noi che su di lui. Dice che in fondo non sappiamo come trattare il talento. Lo vogliamo umile, devoto, fiscalmente docile. Lo vogliamo nostro, ma non lo proteggiamo. Lo critichiamo appena alza la testa. E intanto, chi può, scappa. Gianni Brera avrebbe detto: "l’italiano, se eccelle, viene amato come un santo, ma preteso come un servo". Aveva ragione ieri, e oggi Sinner ce lo ricorda, suo malgrado.

Post scriptum:
Jannik, continua a vincere. Anche se paghi a Montecarlo. Noi, qui in Italia, continueremo a litigare… anche per te.

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